La Psichiatria e la Filosofia: Amori a prima Vista

Il primo articolo del mio Blog lo dedico a mio padre. Se sono qui, e con passione, è perché lui mi ha trasmesso l’amore e la cultura. E l’amore per la cultura. Mio padre era un filosofo e mi ha insegnato a “pensare”. La scelta della Facoltà di Medicina, dopo il Liceo Classico, è venuta forse dal mio amore per il genere umano e per le possibilità che la Medicina offre di alleviare le sofferenze. Ma l’amore per la Psichiatria è venuto dal mio ritorno al pensiero filosofico, anzi forse dal non essermi mai allontanata da esso. Perché Psichiatria è pensiero. Pensiero che diventa parola d’aiuto, che si fa coraggio per farsi coraggio. E’ la nostra mente che lavora per la mente di un altro.

E dedico questo primo articolo anche a Valerio Rosso il mio caro collega e amico che ha dato vita a questo blog. Senza di lui e le sue competenze tecnologiche, probabilmente, non avrei mai avuto una pagina tutta mia su cui scrivere.

Mio padre era notoriamente invaghito di Hegel, ma credo avesse fatto suo anche il pensiero di W. James, psicologo e filosofo del ventesimo secolo, secondo il quale la filosofia è “uno sforzo… per pensare chiaramente” (1). Il bisogno, da più parti avvertito, di traslare questo pensiero alla Psichiatria, nasce dal fatto che occuparsi di chi è affetto da problemi psichici, comporta difficoltà di significato oltre che difficoltà empiriche. Difficoltà concettuali, ad esempio, sul senso di termini quali “malattia”, “disturbo”, e “sindrome”; sulla scelta tra classificazioni categoriali e classificazioni dimensionali per valutare l’opportunità di una classificazione che proceda per categorie diagnostiche ben distinte, oppure di una classificazione per “dimensioni cliniche”, in cui il sintomo psichiatrico si inserisca in un continuum, ad un certo punto, come scucitura tra un “prima” di benessere mentale, ed un “dopo” di malattia… A partire dalla rigidità del pensiero di Kant (1724-1804), che sosteneva che il filosofo e non il medico si occupa di malattie mentali, il lavoro, più proficuo che non si basi su una scelta di esclusività ma sulla interdisciplinarietà tra filosofia e psichiatria, deve essere teso ad individuare cosa la filosofia può fare per la psichiatria.

La filosofia mette l’uomo al centro del suo interesse e questo, traslato in Psichiatria, ci porta alla VPB ( Value-based Practice, pratica basata sul valore), che lega valori e prove di efficacia e rappresenta uno strumento che consente di svolgere il lavoro scientifico centrato sul paziente (2). Il coinvolgimento di valori diversi in ambito sanitario e, dunque, la potenzialità che essi entrino in conflitto, può rappresentare un ”gap” che la VBP si propone di superare con una metodologia che coinvolga alcuni indicatori, di cui citerei, a mio avviso, tra i più importanti, l’attività clinica, la pratica clinica centrata sul paziente, la ricerca neuroscientifica, la formazione psichiatrica, e l’organizzazione della psichiatria come una disciplina scientificamente orientata, rivolta alla diagnosi ed alla cura del paziente.

La pratica basata sui valori ha il suo focus sul paziente ed è di tipo multidisciplinare, ossia l’attenzione è rivolta al paziente ed al suo gruppo di appartenenza, la famiglia in cui è inserito, e lo scopo della multidisciplinarietà del gruppo di lavoro permette un approccio più bilanciato per superare le differenze.  Le fonti filosofiche della VBP comprendono discipline formali astratte, come l’analisi linguistica, la fenomenologia e l’ermeneutica (2)  e le sue applicazioni pratiche sono rappresentate, tra l’altro, da una guida per la formazione professionale che approfondisce le potenzialità della VBP (3), risultato di una collaborazione tra il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Warwick e il Sainsbury Centre for Mental Health. Il particolare centro d’interesse di questa ricerca è sulla classificazione e sulla diagnosi, mentre nell’ambito della ricerca sull’istruzione, presso la Warwick University Medical School, è stato affrontato il tema dell’efficacia della formazione professionale nella VBP per gli studenti di medicina.

La filosofia, d’altro canto, incoraggerebbe la Service Delivery, ossia i nuovi modelli di fornitura di servizi di Salute Mentale, composti da team multidisciplinari, con competenze di tipo medico, psicologico, sociale, per andare incontro ai bisogni del singolo paziente. Tuttavia, il lavoro di gruppo è troppo spesso associato al conflitto e a fallimenti nella comunicazione, con il risultato che i pazienti sono a rischio di essere penalizzati dall’assenza di un vero lavoro d’équipe (4) Discipline professionali differenti operano con modelli impliciti molto diversi (da cui derivano i conflitti e le difficoltà nel lavoro di gruppo multidisciplinare).

La fenomenologia, con l’esistenzialismo e l’ermeneutica, sono particolarmente utili nel fornirci un quadro “più completo” del significato dei concetti attraverso i quali creiamo un senso al mondo che ci circonda. La fenomenologia, come ci dice Karl Jaspers  fornisce una serie di strumenti pratici per lavorare con i significati più personali, oltre che con le scoperte scientifiche, in psicopatologia (5). Questo è un dato importante nell’ambito della ricerca. La fenomenologia è una lettura di quello che appare dietro ad un comportamento e, in clinica, dietro al sintomo, è andare a ricercare ciò che sottende un determinato fenomeno, così come esso appare, così come si manifesta. L’Esistenzialismo è una modalità di pensiero filosofico nata nel secolo XIX, con le figure di filosofi e di scrittori come Kierkegaard, Nietzsche, Dostoevskij e Kafka. Tracce  di una visione esistenziale del vivere si trovano sia nelle opere di Blaise Pascal che in quelle di Sant’Agostino. Si tratta di una corrente di pensiero in cui ci si interroga sul senso ultimo dell’esistenza.

“…Io non so soltanto che sono qui e sono così e quindi agisco in questo modo, ma so che nell’agire

e nel decidere sono nel contempo l’origine del mio agire e della mia essenza. Decidendomi

sperimento la libertà come decisione…su me stesso, libertà in cui non è più possibile una

distinzione fra scelta ed io, perché io stesso sono la libertà di questa scelta..la libertà è la scelta di

me stesso… in quanto scelgo, sono; se non sono, non scelgo…”

da Karl Jaspers, Filosofia, 1932  

“… il fatto che le malattie mentali siano fondamentalmente umane ci obbliga a non vederle come un

fenomeno naturale generale, ma come un fenomeno specificamente umano…”

                                              da Karl Jaspers, Psicopatologia Generale, Roma, 1965

 

L’attenzione verso il malato psichiatrico di Jaspers fu dunque un interesse rivolto prima di tutto alla sua unicità, ad una capacità di osservare l’individuo nel suo insieme, che andasse al di là della catalogazione dei suoi sintomi. In Jaspers si era manifestato un mutamento nel metodo di osservazione del malato psichiatrico, in contrapposizione al pensiero di Emil Kraepelin (1856-1926), che si era dedicato a studi sulle psicosi ed in particolare sulla schizofrenia. Kraepelin aveva raccolto i sintomi presentati da un gran numero di pazienti per gruppi omogenei di casi clinici, che potessero indirizzare ad una diagnosi condivisa, ritenendo che una volta individuati con certezza una serie di sintomi propri di ogni malattia mentale si potesse poi intervenire con successo nel ricercare le cause che avevano generato la psicopatologia, così come le altre specialità mediche ricercavano le cure delle malattie organiche (6).  Il sintomo per Jaspers diventava un segno che indicava un diverso modo di elaborare l’esperienza del vissuto da parte del paziente, vissuto che andava ricercato, inevitabilmente, nell’individuo e connotava un certo modo di quella persona di essere nel mondo . Quindi cercare di mettersi dal punto di vista del malato, di “calarsi nei suoi panni”, cercando di immaginare di poter vivere esperienze simili alle sue.

Tale metodologia di tipo fenomenologico traeva nutrimento dal filosofo Edmund Husserl (1859-1938) (7), che aveva distinto tra l’atto mentale che portava alla conoscenza, o noesis ed il fenomeno che il pensiero cercava di descrivere, o noema, attenendosi ad una sospensione del giudizio, o epoché.  In questo modo l’uomo sarebbe giunto ad avere un’idea della realtà la più vicina possibile all’essenza del reale, portando all’estremo il cogito ergo sum cartesiano e facendo in modo che le idee più bizzarre e deliranti del malato psichico, potessero acquistare, così, una loro dignità di ruolo e di comprensione. Teorie che troveranno un loro ulteriore sviluppo in Ludwig Binswanger (1881-1966), contemporaneo di Jaspers ed amico di  Sigmund Freud (8, 9). Egli riteneva che la malattia mentale fosse uno dei modi possibili di porsi dell'essere umano nei confronti del mondo, una disposizione oggettiva nei confronti della realtà e della sua vita di relazione.

Il terapeuta diventava, allora, colui che interagiva con l’intimità dell’esistenza dell’ammalato e della persona che aveva di fronte, allontanandosi da un modello medico della malattia mentale, che andava a ricercare le cause nelle alterazioni neurobiologiche del cervello. La filosofia mette in connessione la mente ed il cervello nella ricerca. Come ha sottolineato Nancy Andreasen, le stesse neuroscienze sono uno dei fattori che hanno spinto le questioni filosofiche tradizionali, come la natura dell’identità personale, verso la psichiatria(10).

La nuova filosofia della psichiatria non è certo estranea a problemi di questa importanza (11,12). Un programma di ricerca congiunto tra le Warwick e Oxford Universities e l’Institute of Psychiatry di Londra, finanziato dal McDonnell-Pew Centre for Cognitive Neuroscience di Oxford, ha messo insieme filosofi, neuroscienziati e pazienti, in una collaborazione di studio sulla schizofrenia pubblicata in Philosophy, Psychiatry, & Psychology, a cura del filosofo Christoph Hoerl della Warwick University (13). E’ in particolar modo, però, attraverso la tradizione fenomenologica, con la sua attenzione all’esperienza soggettiva, che la nuova filosofia della psichiatria si sta maggiormente collegando alla ricerca neuroscientifica (14,15). Gli studi d’immagine, in particolare, richiedono modi più elaborati per descrivere e definire i contenuti dell’esperienza e i loro legami con le funzioni cerebrali (16,17). Il lavoro del gruppo di Cologne sulla precoce individuazione delle malattie psicotiche, per esempio, attinge direttamente da metodi fenomenologici . La ricerca in questo ambito è, comunque, un procedimento a doppio senso, nel quale la fenomenologia e la filosofia della mente attingono dalle numerose sfaccettature della psicopatologia (18, 19).

Dopo Jaspers le fenomenologie di filosofi del ventesimo secolo come Martin Heidegger, Maurice Merleau-Ponty e Jean Paul Sartre hanno dato vita ad un lavoro basato su classificazioni e diagnosi (20,21). La nuova filosofia della psichiatria ha ripreso i concetti di Jaspers nel collegare i significati con le cause in psicopatologia (22).

La filosofia contribuisce in modo rilevante alla formazione professionale dello psichiatra, attraverso lo sviluppo delle capacità di riflessione, sulle idee di filosofi come J.L. Austin (23) e R.M. Hare (24), che lavorano nelle aree più astratte della teoria filosofica del valore. Questi esercizi formativi si sono rivelati molto utili soprattutto agli psichiatri che si occupano “in prima linea” dei pazienti, agli infermieri dei reparti psichiatrici, agli assistenti sociali, insomma a tutti quegli operatori che sono a contatto con la “crisi” del paziente. La filosofia, dunque, mette la psichiatria in primo piano, dopo la continua stigmatizzazione alla quale sia pazienti che medici erano soggetti, fino alla fine del ventesimo secolo, quando, nonostante gli sviluppi delle neuroscienze, era ancora percepita da molti come disciplina “non scientifica” (25) e i disturbi mentali erano associati negativamente con concetti quali “violenza” e “incurabilità”.

La filosofia amplia il panorama concettuale della psichiatria, dimostrando che il soggetto affetto da una psicopatologia, non è certo “scientificamente” incompleto, il che non farebbe che rinforzare il concetto di “stigma”, ma è sicuramente un soggetto molto più difficile da approcciare e da trattare che in altre aree mediche.

 

Bibliografia

(1) James W. "Review of Grunzuge der Physiologischen Psychologie, by Wilhelm Wundt"

(1975). In: Essays, comments and reviews. Cambridge: Harvard University Press, 1987:296.

(2) Fulford KWM. "Ten principles of values-based medicine". In: Radden J (ed). The

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(3) Woodbridge K, Fulford KWM. Whose values? A workbook for values-based practice in

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(4) Jaspers K., La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania,

Milano, 1996.

(5) Penso G., Essere e Dio in K. Jaspers, Firenze, 1972. Federico E. Perozziello (2008-2013)

(6) Zilboorg G., Henry George W., Storia della Psichiatria, Roma, 2002.

(7) Di Bartolo M., Einsicht. La costruzione del noetico in Husserl, Padova, 2006., Husserl E.,

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(8) Binswanger L., Saggi e conferenze psichiatriche, Milano, 2007

(9) Binswanger L., Il caso Ellen West ed altri Saggi, Milano, 1973

10. Andreasen NC. Brave new brain: conquering mental illness in the era of the genome.

11. Glover J. The philosophy and psychology of personal identity. London: Penguin, 1988.

12. Hobson P. The cradle of thought. London: MacMillan, 2002

13. Hoerl C. "Introduction: understanding, explaining, and intersubjectivityin

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17. Sims A, Mundt C, Berner P et al. "Descriptive phenomenology". In Gelder M, Lopez-

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19. Wilkes KV. Real people: personal identity without thought experiments. Oxford:

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23. Austin JL. "A plea for excuses". Proceedings of the Aristotelian Society 1956-7;57:1-

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24. Hare RM. The language of morals. Oxford: Oxford University Press, 1952.

25. Phillips J. "Conceptual models for psychiatry". Curr Opin Psychiatry 2000;13:683-88.

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