Sarà l’inconscio a salvarci. A volte.

L’esistenza di un mondo inconscio è un’ipotesi necessaria di cui si hanno parecchie prove concrete (Freud)

L’inconscio non è solo il depositario dei sogni, la bussola dei nostri lapsus e degli atti mancati, il mezzo attraverso cui arrivare alla conoscenza. O non arrivarci, a seconda dei casi.
Tradizionalmente è quella parte della nostra psiche definibile come un deposito di materiale (esperienze, percezioni, conoscenze, pensieri, emozioni) di cui il soggetto non è consapevole. Una gran parte di questo materiale riguarda contenuti che non riescono a trovare una collocazione alla luce della consapevolezza, perché rivestono significati non accettabili per la persona stessa, per le più diverse motivazioni .
Il concetto di inconscio era già presente dai tempi di Platone che parlava di una conoscenza dimenticata e nascosta all’interno dell’animo umano. Freud ci parla di un insieme di processi, contenuti e impulsi che non arrivano alla coscienza e che non sono controllabili né analizzabili con razionalità. In realtà ci sono anche altre circostanze nella nostra vita, che in qualche modo sono riconducibili ad un atto mancato, ma solo in parte, credo, perché portano con sé una componente di azione volontaria, che classificheremmo a tutta prima come mancanza di coraggio, ma in realtà cela altro dietro di sé.
Rosa è una donna di trent’anni. Si è sposata giovane ed ingenuamente, forse, non aveva intuito quale legame morboso ci fosse tra Federico, il suo compagno, ed i genitori di lui. Persero il figlio che ella aspettava e questo li divise, come lei capì solo dopo, per sempre: Federico le propose una pausa prima di riprovare un concepimento, per poter “elaborare il lutto” della perdita di quello che era un embrione, ma per lui già un figlio. A mano a mano che passava il tempo, a Rosa sembrava che lui si allontasse da lei. E perciò cominciò a ritagliarsi molti spazi per sé, amicizie, hobbies, tempo libero dal lavoro. Spazi che non comprendevano lui che, d’altronde non mostrava voler essere compreso. Così, impercettibilmente, ma inesorabilmente, le loro vite si separarono. Più volte pensò di lasciarlo ed altrettante le mancò il coraggio di farlo, diceva a se stessa. Fino a quando Rosa, dopo essersi fatta tanti sensi di colpa rispetto al non essere riuscita a coinvolgere suo marito nei suoi interessi, ma neppure a scegliere una strada separata da lui, venne a capo di quella che si rivelò una patologia di tutta la famiglia, un invischiamento nei rapporti interpersonali, un clima di attaccamento morboso che l’aveva esclusa completamente da quella famiglia. Fu allora che capì che non essere riuscita a comprendere Federico nelle sue cose ( e probabilmente non aver neppure insistito più di tanto), con i conseguenti sensi di colpa che aveva provato inizialmente, era stata la sua inconsapevole salvezza per il suo futuro. Ora era pronta a ricominciare. Anzi, a continuare, perché di ricominciare non aveva mai smesso.

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