“La saggezza del padre è il più grande ammaestramento per i figli”. Democrito
Se una madre è in grado di trasformare un ovulo fecondato in un feto e di dare alla luce un bambino, solo un padre può trasformare un bambino in una persona adulta. Non è un caso, allora, che oggi siamo in un mondo di “eterni adolescenti”, che non hanno potuto fare esperienza, forse, di un padre “sufficientemente buono” per essere aiutati a diventare se stessi, dopo aver esperito una madre “sufficientemente buona”, quella che voleva Winnicott, secondo il quale “la madre è la stabilità del focolare” ed “il padre è la vivacità della strada” (Winnicott, 1989).
E’ per questo, forse, che i nostri giovani restano a vita figli “cronici”, accuditi e soddisfatti apparentemente nei loro bisogni, ma, in realtà, vittime di una morale da schiavi da cui non trovano modo di liberarsi. Ma le cose stanno realmente e solo in questi termini?
La funzione paterna è certo fondamentale affinché il soggetto in crescita possa accedere ad un’esistenza libera, autonoma, orientata verso l’avvenire. E’ vero che forse per troppo tempo la figura paterna, dal punto di vista psicologico, ma anche sociologico e culturale, è rimasta relegata sullo sfondo, secondaria rispetto al ruolo della madre, considerata da sempre come più centrale e determinante nello sviluppo psico-emotivo del bambino. Al padre, infatti, spetta l’importante compito di regolamentare la distanza nel rapporto madre-figlio, che per sua natura sarebbe totalizzante e sbilanciato incarnando, secondo Jung (1921), una figura forte e positiva, oltre la sfera degli interessi esclusivamente femminili. Mentre la relazione madre-figlio è fondata su leggi “viscerali” e materiali legati anche alle prerogative della funzione stessa di affetto, cura e protezione, la relazione con il padre è caratterizzata da elementi maggiormente idealizzati, meno concreti e corporei. La figura paterna, anello di collegamento fra famiglia e società, favorirebbe la graduale emancipazione del bambino dall’accudimento materno, permettendo al figlio di affrontare i rischi e le insicurezze che la vita comporta, accettando eventuali frustrazioni e acquisendo il senso del limite.
Studi psicoanalitici hanno sottolineato come sia fondamentale nello sviluppo psico-affettivo del bambino, la funzione “anti-nostalgica” della figura paterna, che spingerebbe il bambino a staccare lo sguardo fino ad allora rivolto verso la madre, per portarlo in avanti, verso il futuro. In realtà associare il “dominio” al genere potrebbe sembrare scontato. Stoller (1978) ha infatti ipotizzato che l’identità maschile sia un fenomeno secondario, poiché lo si raggiunge andando oltre un’identificazione primaria con la madre, posizione contraria al presupposto freudiano secondo cui i bambini di entrambi i sessi inizierebbero tutti come piccoli uomini. Secondo Stoller, il bambino, per diventare maschile, “deve separarsi nel mondo esterno, dal corpo femminile della madre e, nel suo mondo interno, dalla propria identificazione già strutturata con il sesso femminile e la femminilità. Spesso questo grande sforzo non viene portato a compimento”. E, aggiungerei, non viene portato a compimento non per “colpa” del figlio, ovviamente, ma per la responsabilità materna di non riuscire ad attuare la separazione del figlio da lei, accompagnandolo verso il padre e l’ideale di libertà. Il figlio maschio, infatti, sviluppa il suo genere e la sua identità stabilendo una discontinuità ed una differenza rispetto alla persona a cui inizialmente è più legato: il “ripudio” della madre è alla base della formazione dell’identità maschile, ma, ovviamente, in questo processo di ripudio “affettuoso” il figlio va condotto dalla madre stessa. Così come, nello sviluppo psico-affettivo delle bambine, la figura paterna sembra rivestire un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità di genere femminile. Studi psicologici sul rapporto specifico padre-figlia, infatti, sembrano dimostrare come la figura paterna determini, con la propria influenza, un passaggio cruciale nello sviluppo psicologico della figlia: l’accettazione della femminilità e l’orientamento delle sue future scelte sessuali e affettive. Il padre, di fatto, rappresenta il primo rapporto con il “maschile” , la cui eco si riverbera nella donna nelle successive relazioni con gli altri uomini. La dinamica dei rapporti padre-figlia, perciò, è indubbiamente di massima importanza per l’impatto che determina sulle scelte sentimentali di una donna e sulla sua capacità di sentirsi a suo agio nel vivere la dimensione sessuale, condizionata, in buona parte, proprio dalla qualità della relazione con la figura paterna durante l’infanzia e dopo. Questo perché non si tratta solo di un modello che condizionerà il rapporto con gli uomini e con le altre persone in generale, ma anche con il “maschile” interno, presente in ogni donna. Si tratta, a sua volta, di un approccio fondato su un’accoglienza emotiva reale e spontanea del mondo di cui la figlia si fa portatrice, che non può prescindere da un processo di riconoscimento e di contatto con l’elemento “femminile” che ogni uomo ha dentro di sé.