L’addio a Raffaele

Voglio ricordarti così, Raffaele, con questa immagine così simile a quelle delle nostre chiacchierate via Skype. Un’immagine che fermo qui, come a ricordarmi che sei esistito davvero. Che possono esistere ancora uomini colti e con la tua lucidità mentale. Una mente che certo hai esercitato di continuo e lo hai fatto fino alla fine. Grazie Raffaele, per quanto mi stimavi, per come mi hai insegnato a dare un taglio giornalistico a ciò che scrivevo. Grazie per aver voluto condividere con me i tuoi progetti che erano diventati i nostri progetti. “Il giornale devi cominciare a sentirlo anche tuo”. Grazie per avermi scelta per queste condivisioni con te. Grazie per essere riuscito a trasmettermi così tanto ed in poco tempo. La morte tutto questo non potrà cancellarlo, anche se non sarai più dietro un monitor, qui davanti a me. Ti dedico anche questo scritto a cui so tenevi tanto e che non ho fatto in tempo ad inviarti. Magari lo leggerai. Magari ti piacerà….magari non sarà questo tuo ultimo viaggio a separarci. Ciao Raffaele.

L’ansia tra fisiologia e psicopatologia

                                                                                                             Ho sognato di vivere…e di provare ogni male fisico,

                                                                                                             compresa l’ansia quando tu non torni

                                                                                                              Roberto Vecchioni

L’ansia, esperienza emotiva comune ed ubiquitaria, può rappresentare semplicemente una risposta fisiologica temporanea dell’individuo a specifiche situazioni-stimolo, funzionale alla mobilizzazione di risorse sul piano cognitivo, comportamentale e fisiologico e, in quanto tale, non va trattata.

In molti casi, tuttavia, l’ansia assume le caratteristiche di una condizione psicopatologica, perché appare sproporzionata rispetto alla situazione-stimolo, è fonte di notevole sofferenza soggettiva, è persistente nel tempo e di gravità sintomatologica tale da compromettere in misura rilevante le prestazioni funzionali di chi ne è affetto. L’ansia cosiddetta fisiologica, è il motore della vita. Senza questo stimolo sembra difficile immaginare, oggigiorno, qualsiasi cosa. È la tensione positiva che ci spinge ad approcciarci alle persone e alle diverse situazioni e rappresenta per noi una protezione naturale, una spia di eventuali pericoli. Quando l’ansia comincia a diventare un problema o, meglio, il sintomo di qualcosa che non va? Quando, evidentemente, si superano i livelli di guardia, quando gli stressors, o eventi interpretati come allarmanti, fattori stressanti in genere, diventano troppo pressanti o il nostro vissuto personale li considera tali e l’individuo fa fatica a mantenere la propria stabilità emozionale. Quando si entra in uno “stato di allarme” che impedisce di compiere le comuni attività. L’ansia come patologia si può presentare in situazioni differenti tra loro, può essere sia l’indicazione al momento presente di un più complesso quadro clinico, sia il sintomo di un disturbo a se stante. L’andamento delle manifestazioni ansiose risente dell’esposizione a quei fattori stressanti ( richieste dell’ambiente a cui bisogna far fronte), che talvolta sono del tutto generici ( dal superlavoro quotidiano ai problemi di salute) ma che più spesso possono ricondurre a vicende personali emotivamente significative ( ad esempio, la fine di una relazione sentimentale). Non solo nel nostro Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ma anche nella vita quotidiana, si può individuare la complessità sindromica, fisica e psichica dei diversi tipi di disturbi d’ansia.

Distinguiamo, infatti:

1. Il disturbo di panico (senza /con agorafobia), caratterizzato dal ripetersi di attacchi di ansia molto intensi della durata di alcuni minuti.

2. Agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico, propria di chi evita di recarsi in luoghi specifici per il timore di sentirsi male.

3. Fobia specifica ( o semplice): paura sproporzionata o irragionevole di affrontare situazioni od oggetti esterni giudicati pericolosi ( ad esempio, luoghi elevati, mezzi di trasporto, animali, sangue, pratiche mediche).

4. Fobia sociale ( o disturbo da ansia sociale): il soggetto che ne è affetto teme di non essere in grado di adempiere ad una prestazione in pubblico ( ad esempio, parlare di fronte ad estranei).

5. Disturbo ossessivo-compulsivo, in cui i contenuti mentali ( ad esempio immagini sgradevoli) ed espressioni comportamentali ( ad esempio, riordinare), si impongono alla volontà del paziente in modo ripetitivo e irragionevole, spesso i comportamenti compulsivi sono finalizzati a neutralizzare l’ansia provocata dai pensieri ossessivi.

6. Disturbo da stress post-traumatico e disturbo acuto da stress: sono quadri specifici susseguenti all’esposizione ad eventi che determinano pericolo per l’incolumità personale ( ad esempio, gravi incidenti, disastri naturali, scene di guerra, aggressioni e stupri).

7. Disturbo d’ansia generalizzato, in cui sintomi d’ansia cronici durano molti mesi e provocano apprensione continua.

In alcuni di questi casi possono essere soddisfatti i criteri diagnostici formali per più di un disturbo nello stesso individuo ed allora si parla di “comorbidità”. Mentre, quando sono presenti sintomi d’ansia ma non è possibile formulare alcuna diagnosi specifica, si parla di disturbo d’ansia non altrimenti specificato.

Quando all’origine di manifestazioni d’ansia non specifiche è possibile individuare un fattore ambientale stressante, si pone diagnosi di disturbo dell’adattamento con ansia. Infine, la diagnosi di disturbo d’ansia dovuto a condizione medica generale e di disturbo d’ansia indotto da sostanze ( ansia secondaria), rimanda direttamente ad una causa organica. L’approccio ai disturbi dello “spettro ansioso”, come più opportunamente sono denominati nelle più recenti classificazioni, è un problema di notevole rilevanza in medicina generale sia per l’alta incidenza di questi disturbi, sia per la frequenza con cui il medico di medicina generale viene consultato per primo, anzi, a volte è anche il solo al quale si chiede aiuto. Si tratta di disturbi che incidono molto sulla performance del soggetto, compromettendone la funzionalità lavorativa e familiare, e che inducono a frequenti richieste di consulti medici ed al ricorso a strutture di emergenza, sia ospedaliere che territoriali. Tale possibilità, peraltro oggi più realistica grazie allo sviluppo di sempre più numerosi progetti che prevedono un rapporto di stretta collaborazione tra lo specialista ed il medico di medicina generale, ripropone il concetto di approccio psicosomatico al paziente, inteso nella sua dimensione fisica e psichica. Poiché s’è detto che gli stessi sintomi possono essere significativi per diverse condizioni cliniche, va individuata sin dalla prima visita l’esatta collocazione dei sintomi presentati nell’ambito di una specifica categoria diagnostica, ossia è necessario individuare dove sia posizionato il sintomo presentato dal paziente lungo quel continuum che va da uno stato di “apprensione fisiologica”, legato ai ritmi della vita odierna, all’”ansia fisiologica”, che è giustificata da precise ragioni ( ad esempio, eventi traumatici, che provocano la cosiddetta ansia di adattamento o situazionale), fino alla personalità ansiosa, nella quale i sintomi rappresentano uno “stile di vita disfunzionale”, stabile nel tempo e caratteristico di quel singolo soggetto.

Quindi, da un punto di vista diagnostico, se da un lato è importante considerare la struttura di personalità del soggetto, in quanto la conoscenza del suo “stile di vita” può essere di grande aiuto ai fini diagnostici e terapeutici, dall’altro, esistono espressività cliniche monosintomatiche o “sottosoglia”. Si tratta di quadri clinici sfumati che, pur comportando elevati livelli di sofferenza soggettiva e disabilità, oltre che frequenti cause di assenza dal lavoro e di richieste di visite mediche, non soddisfano completamente i criteri diagnostici previsti dai sistemi nosografici attualmente in uso. Riuscire a dare una giusta risposta anche a questi pazienti contribuisce a migliorare la loro qualità di vita e previene la possibilità di recidive e l’insorgenza di quadri clinici di maggiore gravità.

La terapia d’elezione dei disturbi d’ansia è quella che combina un trattamento farmacologico con una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale, che aiuta ad imparare a gestire il sintomo “ansia”.

Le benzodiazepine svolgono un’attività sedativa, ipnotica, miorilassante e antiepilettica. Si tratta di farmaci efficaci, di facile impiego e relativamente sicuri. La prima molecola, sintetizzata negli anni Sessanta, è stata il clordiazepossido. A questa se ne sono aggiunte molte altre, fra le quali il diazepam, il lorazepam, il clordemetildiazepam, il bromazepam, I’alprazolam, l’etizolam, differenti tra di loro in termini di potenza, farmacocinetica, emivita e solubilità lipidica. L’alprazolam ed il lorazepam, ad esempio, hanno emivita più breve, più veloce eliminazione del diazepam, mentre il clonazepam ha un periodo di azione fino a 24 ore. Il bromazepam ha un’emivita pari alle 20 ore circa e presenta la caratteristica peculiare di poter essere assorbita molto velocemente a livello del tratto gastroenterico, in quanto la struttura chimica della molecola le permette una elevata idrosolubilità. Per tale caratteristica raggiunge rapidamente il picco plasmatico e di conseguenza l’effetto ansiolitico è rapido. L’efficacia di queste molecole è ampiamente documentata, in quanto sono indicate soprattutto nel trattamento a breve termine delle manifestazioni acute dell’ansia, sono caratterizzate dalla rapida insorgenza dell’effetto terapeutico, generalmente ben tollerate e con minimi effetti collaterali. La complessità dei quadri psicopatologici dei disturbi d’ansia e l’elevata comorbidità rendono difficile la prescrizione farmacologica e nella pratica clinica è frequente la necessità di utilizzare, in associazione, classi di farmaci diversi, come le benzodiazepine e gli antidepressivi, per il trattamento di questi disturbi. L’approccio terapeutico più in uso oggigiorno per la terapia degli stati d’ansia è, infatti, quello che prevede una terapia di associazione di benzodiazepine, utilizzate all’inizio del trattamento a dosaggi più alti, ed antidepressivi, in particolare la paroxetina, un SSRI (inibitore selettivo del reuptake della serotonina), che è invece è opportuno consigliare a dosi basse perché all’inizio della terapia potrebbe causare addirittura un aumento dello stato ansioso. Nel seguito del trattamento, quando l’antidepressivo eserciterà anche la sua funzione “ansiolitica” si potrà iniziare a diminuire la dose dell’ansiolitico. Una corretta compliance terapeutica al farmaco, sostenuta soprattutto dal dovere da parte del medico di informare il paziente ed i suoi familiari dei possibili rischi connessi ad un abuso della terapia, ne riduce sensibilmente l’ insorgenza di fenomeni di “dipendenza”. La sospensione delle benzodiazepine deve sempre essere effettuata in modo graduale per non incorrere nella “sindrome da sospensione”, mentre gli effetti collaterali riportati consistono in un’accentuazione delle loro proprietà farmacologiche: sedazione eccessiva, astenia, diminuzione delle prestazioni psicomotorie e cognitive, effetti “residui” ( hang-over) al mattino successivo all’assunzione di una dose serale per l’insonnia, ossia malessere generale, cefalea, senso di stordimento simile ai postumi di una sbornia. Le benzodiazepine vanno utilizzate con cautela negli anziani e in associazione ad altri farmaci attivi sul sistema nervoso. Sono composti sufficientemente sicuri in caso di tossicità acuta ma, in caso di sovradosaggio, la contemporanea assunzione di alcolici o di altri farmaci psicoattivi può essere pericolosa. L’errore clinico più comune, ripeto, ridotto al minimo con un opportuno controllo, sulla corretta assunzione del farmaco è quello di decidere di continuare in modo indefinito la sua assunzione senza parere medico; questo atteggiamento può portare ad una perdita del controllo sul farmaco e a fenomeni di dipendenza e tolleranza.
Alcuni di questi farmaci, inoltre, esercitano una spiccata azione ipnotica, come il flurazepam, il flunitrazepam, il triazolam, il brotizolam, il clonazepam, che è impiegato anche nel trattamento del grande male epilettico per il suo elevato effetto anticonvulsivante.
Va ricordato che per il trattamento dell’insonnia, oltre alle benzodiazepine vengono utilizzati anche neurolettici con spiccato effetto sedativo, come la levomepromazina. Praticamente non più utilizzati sono i barbiturici, come il fenobarbital, per la grave tossicità legata all’abuso.

 

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