Facile l’errore. Difficile il perdono

«Il perdono è memoria selettiva, una decisione consapevole di concentrarsi sull’amore e lasciar andare il resto» (M. Williamson).

Vorrei iniziare dall’etimo “Dono-per”: il per è nell’accezione latina di “completamente”.
Il perdono non può essere inteso solo e semplicemente come un colpo di spugna su un torto subìto.
Il dono-per reca in sé la consapevolezza piena e la forza del gesto che racchiude in sé il potere della ricostruzione e della conquista.
Una ricostruzione dell’amor proprio, della propria autostima, della libertà e della quiete.
Una riconquista di sé.
Il perdono è simmetrico e biunivoco: elargito, ma anche ricevuto.
Elargire il perdono significa non concedere alla rabbia di trovare spazio dentro i propri pensieri, le proprie azioni e il proprio cuore; significa essere sinceri fino in fondo con se stessi e consapevoli che stavolta è andata così, ma più spesso ci si trova a vestire i panni di colui che offende e non di colui che è stato offeso. Ricevere il perdono sembra più facile, ma può essere altrettanto impegnativo, soprattutto quando si pensa di non meritarselo, di non esserne degni.
Il perdono, un po’ come l’amore non si merita, si accoglie. Anzi, potremmo dire che esso stesso esprime amore. E, come l’amore, a volte si ricambia.
Cresce facendosi largo tra ragioni e torti, tra affetto e risentimento.
La nostra difficoltà, spesso, nel concedere il perdono, risiede spesso nel desiderio ( o meglio, nel tentativo), di “educare” colui che ci ha offeso. È come se il senso del perdono si perdesse se non fosse capito e vissuto da chi lo riceve, se non fosse preceduto da una richiesta di scuse, da una consapevolezza ed ammissione della colpa.
Diventa più facile perdonare quando si percepisce la comprensione dell’errore, ma è molto più “dirompente” se si perdona gratuitamente, ricordandosi del torto subito.
Perdonare è molto di più che dimenticare; è molto di più che “rinunciare” al confronto, magari per pigrizia o paura.
Richiede una rivoluzione spirituale, e non intendo in senso religioso ma umano, una “conversione”, sia in chi lo offre, sia in chi lo riceve. Se è vero perdono, non è indolore. Chi dimentica non perdona, semplicemente non ricorda più. Chi è pigro non perdona, semplicemente è un ipocrita. Chi perdona è disposto a scommettere, ancora una volta, sulla possibilità del cambiamento dell’altro; chi perdona, anche a distanza, anche a fatica, ammette a se stesso che i nostri errori sono sempre i penultimi esattamente come lo sono quelli degli altri.

Il perdono è, spesso, come assistiamo in tv, l’ossessione di cronisti: dopo un delitto, vorrebbero che i parenti delle vittime concedessero subito il perdono al carnefice. Bisognerebbe allora perdonare loro, perché non sanno quello che dicono.

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