Psichiatria….in pillole

“Saper come essere”,
“Sapere come ascoltare”,
“Sapere come agire”
(Tizon, 1988)

La Psichiatria è, fondamentalmente, relazione. Non lo ripeteremo mai abbastanza.
Se, infatti, nella letteratura specialistica odierna il rapporto medico-paziente è considerato uno strumento tecnico di grande rilievo in ogni genere di attività clinica e dunque valido in ogni campo della medicina, a maggior ragione questo è valido in psichiatria, laddove lo strumento terapeutico è rappresentato dalla nostra mente che lavora per la mente di un altro. Una buona relazione agisce, di per sé, come fattore diagnostico ma anche terapeutico, poiché influenza direttamente o indirettamente, ogni altro processo coinvolto nell’agire clinico. Anche la semplice prescrizione di un farmaco ( e dunque una psichiatria in… pillole), non può prescindere dalla relazione. Non dimentichiamo che Balint sosteneva che il primo farmaco che il medico prescrive è se stesso. Se a sostenere una prescrizione farmacologica non c’è una buona relazione, già instaurata o comunque in fieri, è difficile che quel paziente assuma quel farmaco e se lo farà, sarà con poca convinzione, e l’efficacia di quel farmaco sarà inferiore a quella che si otterrebbe se il farmaco venisse assunto con maggiore fiducia nel prescrittore.
Potremmo dire che il medico è l’agente intermedio tra il paziente ed il farmaco e, non da ultimo, colui che tramite la relazione fa da cuscinetto tra il paziente e la sua malattia.

Le cose non sono, però, sempre state in questi termini. Nelle epoche primitive il concetto dell’alternanza tra salute e malattia faceva parte dell’ordine soprannaturale delle cose; la salute era un dono, la malattia un castigo e la relazione tra il paziente e la cura era basata su idee di tipo magico.
Negli scritti Ippocratici, nella Grecia classica, appaiono i primi scritti sulla necessità che il medico attribuisca una certa attenzione alla vita interiore del paziente: l’organismo era considerato un tutto complesso ed unitario.
Nel VI e V secolo a.C. cominciarono ad emergere concezioni tecniche della medicina e la relazione medico-paziente era considerata una “relazione amichevole” basata sulla fiducia del paziente nel medico e nella medicina (Lain 1978).
In era cristiana l’aiuto al malato veniva considerato un dovere etico e religioso.
Solo nel XV e XVI secolo ci si pose con un atteggiamento di ricerca clinica basato su un concetto scientifico naturalistico della medicina.
Nel corso del XVIII secolo, un decisivo mutamento della mentalità medica chiarì che è il paziente a dover essere trattato e non la malattia: il medico cessò di essere semplicemente un uomo di scienza. Ma i più rilevanti progressi nella considerazione del rapporto medico paziente si ebbero nel XIX e XX secolo e rappresentano ancora la base della medicina contemporanea.
La medicina, infatti, cominciò ad essere applicata ad altre scienze come l’antropologia e la psicologia. D’altronde, Balint in “Medico, paziente e malattia” sostenne l’importanza non solo degli aspetti psicologici del paziente, ma anche la necessità di considerare gli aspetti psicologici e controtransferali del medico nel suo rapporto con il paziente. Dunque, non solo il rapporto interpersonale ma anche quello intrapersonale.
In tutto questo un peso determinante è rappresentato dalla influenza del punto di vista interpersonale ed intersoggettivo nell’ambito della teoria psicoanalitica: il soggetto può essere compreso solo in un contesto interpersonale ed una buona comunicazione dovrebbe essere basata non solo sugli aspetti informativi ma anche su quelli emozionali.
Negli anni si è così passati da un modello di rapporto Medico-Paziente inteso come relazione paternalistica da parte del medico, ad un modello di rapporto che rafforza l’autonomia del paziente. In realtà, forse, quella che ancora oggi non si è ancora pienamente raggiunta è l’educazione sia del medico che del paziente ed una mutua alleanza tra loro al fine di trattare la malattia e l’asimmetria tra i due ruoli, che, spesso, purtroppo, i pazienti cercano di colmare attingendo notizie specialistiche qui e là, dovrebbe diventare una complementarietà, in cui entrambi i membri della relazione dovrebbero avere come obiettivo comune il trattamento terapeutico del paziente ed il suo sollievo emotivo.

BIBLIOGRAFIA

Anderson LA, Zimmerman MA: Patient and physician perceptions of their relationship and patient satisfaction: a study of chronic disease management” Patient Educ Couns 1993 jan;20(1):27-36
Balint M. “El medico, el paciente y la enfermedad”. Buenos Aires, Libros Basicos, 1961
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Balint M e coll: “La capacitation psicologica del medico. Evaluacion de los resultados de un programa de postgrado para medicos clinicos”. Barcelona, Gedisa, 1984
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Lain Entralgo P: “La relacio medico enfermo” Madrid, Alianza 1983
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