Psicoanalisi e criminalità

La teoria psicoanalitica della personalità offre la possibilità di interpretare talune modalità della condotta criminale, utilizzando la chiave di lettura della psicoanalisi anche per la identificazione di alcuni meccanismi della criminogenesi.
La visione dell’Io come istanza consapevole dell’uomo continuamente in bilico tra le spinte dell’istinto ( ES) e le controspinte del Super-Io, ha accreditato una lettura sostanzialmente deterministica della teoria psicoanalitica della personalità. L’Io cioè non sarebbe altro che il passivo esecutore di istanze a lui estranee e nei confronti delle quali, quindi, possiede ben poca autonomia: l’uomo pertanto non avrebbe alcuno spazio di libertà rispetto alle proprie pulsioni istintuali e alla severità del Super-Io, quasi fossero altro da sé. Quindi la libertà di scelta e la responsabilità scompaiono nel momento in cui l’individuo agisce solo spinto da forze che non può controllare. Questa visione tanto rigida è stata però oggi superata da molti psicoanalisti che considerano l’Io come dotato di maggior autonomia, non più necessariamente succube dei desideri dell’Es e dei conflitti fra le diverse istanze ma con possibilità di scelta, perché provvisto di proprie energie.
Il più organico contributo psicoanalitico in ambito criminologico è quello di Alexander e Staub (1929).
Secondo questi autori la condotta criminosa è l’effetto di molteplici modalità dello svincolo dal controllo del Super-io. Essi identificano diverse condizioni nelle quali il controllo dell’istanza superiore si riduce fino ad abolirsi completamente, secondo il seguente schema:
1. la normalità (o integrazione sociale) – è rappresentata dal pieno controllo del Super-io sul mondo pulsionale-istintuale: in tali condizioni vi è piena conformità di condotta e rispetto delle regole;
2. la delinquenza fantasmatica – nella quale il controllo delle pulsionalità antisociale è ancora pienamente efficiente sul comportamento tant’è vero che l’individuo non delinque; esistono tuttavia istinti antisociali più pressanti che il soggetto riesce comunque ad arginare mediante il processo della dislocazione dell’antisocialità sul piano della semplice fantasia (ammirazione per i personaggi devianti dei film);
3. la delinquenza colposa (condotta motivata da imprudenza, negligenza, imperizia) – può essere interpretata col meccanismo della dislocazione delle pulsioni aggressive: l’aggressività che il Super-io non consente che si realizzi come tale, cioè come violenza volontaria, verrebbe estrinsecata attraverso una condotta imprudente o negligente che provoca ugualmente danno alla persona osteggiata o alle sue cose;
4. la delinquenza nevrotica – nella quale la condotta criminale rappresenta un sintomo di una situazione conflittuale profonda. Il Super-io non ha completamenti rinunciato al controllo dell’antisocialità e questa si realizza unicamente per l’esistenza di profondi contrasti interiori che trovano una possibilità di soluzione nella condotta deviante. Quest’ultima è dunque non l’effetto di un progetto razionale e consapevole o di un ideale dell’Io di tipo criminale ma una sorta di ripiego per eliminare la tensione delle conflittualità interiori: la delittuosità nevrotica (piuttosto rara) non essendo completamente accettata si accompagna pertanto a sensi di colpa (es. cleptomania).
5. delinquenza occasionale e affettiva – viene definita così quella delinquenza che si attua appunto solo in circostanze eccezionali, particolarmente favorevoli allo svincolo delle controspinte superiori (delitti per passionalità, delitti scaturiti da violenti diverbi, in stato d’ira). Tale tipo di delinquenza per gli autori è anche quella commessa quando vi sia un’ampia probabilità di non essere scoperti oppure quando un oggetto desiderato è offerto in modo suggestivo (furti nei grandi magazzini).
6. Delinquenza normale – rappresenta l’ultimo stadio, dove il controllo del Super-io cessa completamente e l’Io può realizzare senza ostacoli le pulsioni aggressive e antisociali: non essendovi più controllo superegoico il delinquente non si sentirà in colpa per la sua condotta.
Da quanto abbiamo appena considerato, appare chiaro come l’adeguamento alla vita sociale è da vedersi essenzialmente in funzione dell’efficienza del Super-io.
Il Super-io può essere:
1. anomalo – essendo strutturato come Super-io criminale, gli ideali dell’io sono strutturati in modo antisociale e il soggetto adegua la sua condotta che diviene pertanto criminale;
2. debole – e non costituire una guida sufficientemente costante e valida per la condotta: ciò si realizza quando vi siano stati fattori diseducativi ambientali, difetti dei processi di identificazione, inadeguatezza della famiglia o mancanza di modelli;
3. del tutto assente – si realizza in tal modo un inadeguamento globale alla vita sociale.
Concludendo, per Alexander e Staub, si possono distinguere due tipi fondamentali di delinquenza:
la delinquenza accidentale – nella quale sono assenti tratti psicologici devianti delle personalità e la delittuosità può realizzarsi con delitti colposi o con delitti occasionali correlati a situazioni eccezionali che inattivano il Super-io in stati di particolare pregnanza emotiva o per occasioni particolarmente favorevoli o allettanti;
la delinquenza cronica – che rappresenta la propensione al delitto dovuta alla struttura stessa della personalità: essa può dipendere dal fatto che l’Io è fragile o compromesso (per fatti tossici, per difetto d’intelligenza) o perché esiste una condizione nevrotica perché il Super-io è strutturato in modo anomalo e il delitto è coerente con l’anomala struttura dell’istanza superiore o infine perché il Super-io è assente e quindi la condotta dell’individuo è in balia degli istinti.
Importanti contributi di matrice psicoanalitica sono stati utilizzati al fine di comprendere la criminogenesi (il perché del comportamento criminoso) e la criminodinamica (il come). In base a questi studi si potrà comprendere, per esempio, quanto l’armonica struttura dell’istanza superiore possa essere compromessa dai disturbi nel rapporto con le figure parentali. Il processo di identificazione con le figure dei genitori rappresenta infatti il primo nucleo attorno al quale si formerà il Super-io, e disturbi in questa fase si ripercuoteranno sulla definitiva struttura della personalità. Assenza o lontananza dei genitori, genitori iperoccupati, autoritari, troppo deboli, iperprotettivi, indifferenti, sono stati indicati come causa di disturbo nella formazione del Super-io così da favorire la condotta criminosa. Inoltre, l’identificazione con figure parentali antisociali può concorrere alla formazione di un Super-io criminale.
E’ stata identificata anche una delinquenza per senso di colpa: alcuni soggetti agirebbero cioè in modo criminoso unicamente per essere poi puniti, e soddisfare, così, senza rendersene conto, un bisogno inconscio di espiazione di stampo nevrotico.
In certe situazione, poi, i comportamenti criminali sono stati interpretati come originati dalla fissazione alla fase del principio del piacere: la delinquenza, in questo caso, esprimerebbe un modo di dar soddisfacimento diretto alle pulsioni. Le frustrazioni ambientali e familiari, la marginalità, le sconfitte, l’assenza di ragionevoli prospettive di successo sociale, sono tipiche situazioni che ostacolano il processo di maturazione verso la fase governata dal principio di realtà, favorendo la fissazione o la regressione a modalità più immature di condotta.
Questa, come altre interpretazioni psicodinamiche, comportano il rischio di fornire una lettura della condotta criminosa che finisce per essere deresponsabilizzativi perchè il delinquente viene percepito come se fosse costretto a delinquere da forze da lui non governabili. Il tanto deprecato determinismo della psicanalisi consiste proprio nel fatto che vendono da taluni ignorate, nel gioco delle dinamiche psicologiche, le componenti volontarie e morali che sono pur sempre alla base delle scelte comportamentali.

Meccanismo reattivo messo alla luce dalla psicoanalisi e tipicamente collegato alla immaturità affettiva è quello dell’acting-out (passaggio all’atto) che rappresenta una modalità impulsiva di comportamento mirante a risolvere l’ansia, particolarmente quella derivante da eccesso di frustrazione, con una condotta anomala: molti comportamenti criminali, specie nei giovani, assumono il significato di azioni realizzate come compenso di gravi carenze affettive o materiali. L’acting-out criminoso si caratterizza per il fatto che il reato non appare in relazione a motivi o scopi normali e coscienti (lucro, vendetta, ecc.) ma rappresenta una scarica o un sollievo da una tensione emotiva riferibile a conflittualità o frustrazione. Questo meccanismo non solo è all’origine di reati di tipo aggressivo ma può concretarsi anche in furti commessi per liberarsi da tensioni interiori.
Altro aspetto dell’immaturità è rappresentato dalla bassa soglia di tolleranza alla frustrazione: un adeguato esame di realtà, quale effettua una personalità matura è condizione indispensabile per accettare quella dose di frustrazione che inevitabilmente comporta la convivenza sociale. Quanto più bassa è la tolleranza alla frustrazione di un soggetto tanto più facilmente egli sarà indotto a reagire con aggressività o con impulsività, alla frustrazione stessa. Ad analoga situazione si ricollega anche il meccanismo della difesa dalla frustrazione mediante l’identificazione del frustrato nel frustratore: il soggetto che ha subito ripetute frustrazioni può eleggere come propri modelli di identificazione, figure per lui altamente frustranti divenendo pertanto egli stesso, con l’adeguarsi ai modelli, un soggetto frustratore.
L’incapacità di identificarsi col prossimo caratterizza, secondo Musatti, molti degli autori di reati contro la persona; fa in loro difetto quella qualità comune invece nelle altre persone, per la quale normalmente si condivide il dolore e la pena altrui come se fossero nostri, qualità che consente pertanto di controllare la violenza. In quest’ottica, Musatti classifica le condotte criminose violente in questo modo:
1. condotte dovute a deficienza globale di identificazione con l’oggetto dell’impulso aggressivo – come accade per esempio nella legittima difesa;
2. condotte dovute a processi di identificazione soltanto parziale – in base al fatto che determinati valori morali non sono fortemente avvertiti come veri e propri valori (è il caso delle sottoculture violente o delle bande giovanili di tipo distruttivo);
3. condotte dovute a processi di identificazione particolari – attraverso i quali la passività alla violenza si converte in attività (è il caso della identificazione del frustrato nella figura del frustratore).
Al meccanismo di difesa della proiezione è da attribuirsi l’atteggiamento di deresponsabilizzazione riscontrabile in tanti criminali. Proiettando su altri (famiglia, società), la responsabilità della propria condotta criminosa, ci si sente anziché colpevoli piuttosto delle vittime, ci si libera dal senso di colpa e si mette il prossimo ( autorità, giudici, operatori penitenziari) nella posizione di chi infierisce su un innocente.
L’incapacità di sublimazione della libido, cioè l’incapacità di indirizzare la pulsionalità verso mete socialmente accettate anziché su oggetti proibiti, rende conto di comportamenti delinquenziali primitivi, immediati e miranti a soddisfare i bisogni e le pulsioni nelle modalità più rozze.

Nonostante i tanti ed importantissimi contributi per la comprensione della condotta criminosa, la psicoanalisi, con l’eccessivo indulgere nella ricerca di interpretazioni psicodinamiche, può comportare il rischio di intendere ogni criminale come persona in qualche modo psicologicamente disturbata, col risultato di “patologizzare” la delinquenza; inoltre, le inconsce e spesso tortuose dinamiche ipotizzate in chiave psicoanalitica rischiano di far perdere di vista la realtà quotidiana.

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