Parafilie e Criminologia: vittime o carnefici?

L’American Psychiatric Association (APA) ha pubblicato nel 2013 l’ultima edizione del Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM 5). A differenza delle precedenti edizioni, nell’ultima, i disturbi sessuali non sono più inclusi in un’unica categoria diagnostica, ma vengono distinti in: Disforie di Genere, Parafilie e Disfunzioni Sessuali.
Con Parafilia (dall’etimo greco para παρά = “presso”, “accanto”, “oltre” e filia φιλία = “amore”, “affinità”), termine che ha vicariato quello di “perversione” (dal latino perversio = rovesciamento, inversione), s’intende pulsione erotica connotata da fantasie o impulsi intensi e ricorrenti, che implicano attività o situazioni specifiche che riguardino oggetti, che comportino sofferenza e/o umiliazione, o che siano rivolte verso minori e/o persone non consenzienti. Il DSM 5 ha introdotto un importante cambiamento in tema di parafilia/comportamento parafilico. Vengono considerate parafilie tutti quei comportamenti sessuali atipici per i quali il soggetto sente una forte e persistente eccitazione erotico-sessuale. Tale “tensione”erotica è vissuta in perfetta egosintonia, ossia in perfetto allineamento con il Sé. Quando il comportamento parafilico diventa invece una forma di dipendenza e il soggetto accusa un certo disagio interpersonale (egodistonia), allora si introduce il concetto di Disturbo Parafilico.

Il Disturbo Parafilico è quindi una parafilia, ma il soggetto, oltre ad avere un intenso e persistente interesse sessuale per particolari attività erotico-sessuali, vive l’esperienza e i vissuti parafilici con disagio, tanto da arrecare danni a se stesso e/o agli altri .
In buona sostanza, nelle precedenti edizioni del DSM, i “ disturbi parafilici” venivano definiti come “qualsiasi comportamento sessuale inusuale”, ma non esisteva alcun termine specifico per definire gli interessi sessuali atipici ma non patologici. Il DSM 5, ridefinendo tale assunto, richiede, come criterio per fare diagnosi di disturbo parafilico, che le persone con interesse sessuale atipico lo vivano con angoscia, non derivante solo dalla disapprovazione sociale; o che abbiano un desiderio o comportamento sessuale che comporti un disagio psichico, delle ferite o la morte di un’altra persona; o un desiderio per comportamenti sessuali che coinvolgano altre persone incapaci di esprimere consenso o coinvolte a loro insaputa. Questo ha dato il via ad un dibattito tra i ricercatori: secondo alcuni questa distinzione potrebbe essere utile ai fini della ricerca, per altri invece è considerata solo una revisione terminologica concettuale 8 Al di là delle disquisizioni semantiche, il tentativo ( non sempre riuscito) da parte degli studiosi del settore è stato quello di cercare di passare da una diagnosi di tipo categoriale ( ma questo è rilevabile anche negli altri disturbi psichiatrici), quindi per categorie diagnostiche, ad una diagnosi di tipo dimensionale, cioè per dimensioni cliniche. Da qui il concetto di “spettro”, termine molto utilizzato nel DS M5, che amplia i quadri diagnostici ed in cui il “sintomo” non è più considerato solo un criterio od uno dei criteri per fare diagnosi, ma va ad inserirsi lungo un “continuum” che va dallo stato di salute a quello di malattia.
Le parafilie sono distinte nel manuale in otto forme: il disturbo esibizionistico, il disturbo feticistico, il disturbo frotteuristico, il disturbo pedofilico, il disturbo da masochismo sessuale, il disturbo da sadismo sessuale, il disturbo da travestitismo, e il disturbo voyeuristico. Nel trattare le parafilie, è necessario andare a considerare entrambi i punti di vista, quello della “vittima” e quello del “carnefice” perchè, secondo un’ottica di psicoterapia della Gestalt, va inquadrato l’aspetto fenomenologico ( la Fenomenologia coglie l’intenzionalità sottesa ad un determinato fenomeno/sintomo) e relazionale del problema. Le difficoltà sessuali esprimono un disagio relazionale e sono considerate un fenomeno di campo, anche se è solo uno dei partner che si sente sessualmente insoddisfatto, inadeguato, o incapace di provare piacere.
Quando in terapia si lavora con le difficoltà sessuali è necessario esplorare il livello diacronico, lo sfondo dell’esperienza del paziente (gli aspetti legati allo sviluppo relazionale, all’attaccamento, come vedremo nelle ipotesi psicoanalitiche), ed il livello sincronico, la figura del disagio attuale (il contesto relazionale in cui emerge).
Compito del terapeuta è quello di portare anche gli aspetti sessuali nella seduta, consentendo uno spazio scevro da giudizio in cui il soggetto può dare voce ad esse, creando un ambiente sicuro per il paziente affinché egli possa esplorare la sua sessualità e le sue “ferite” sessuali.
Una sorta di bussola che non ha certo la funzione di etichettare ma che costituisce la base su cui cominciare a dare una forma, una figura ed un nome al disagio che viene affrontato.
Per Feticismo si intende la parafilia consistente nello spostamento della meta sessuale dalla persona nella sua interezza ad un suo sostituto; ciò che la sostituisce può essere o una parte del corpo, o una qualità, o un indumento, o qualsiasi altro oggetto inanimato. In sostanza, quindi, il feticista è colui che prova attrazione sessuale per qualcosa che fuoriesce dai canoni della sessualità tradizionale, quella, cioè, che pone gli organi genitali come oggetti libidici primari. L’etimo viene dalla lingua portoghese: i mercanti usavano questo termine per riferirsi agli indigeni africani che adoravano i “feticci”, ossia oggetti ritenuti sacri dalle popolazioni locali. Il feticismo si caratterizza, dunque, per una supervalutazione psicologica dell’oggetto sessuale, che si estende ad ogni cosa ad esso associato. Un certo grado di feticismo rientra abitualmente nell’ambito della sessualità normale, specialmente quando il desiderio di intrattenere un rapporto sessuale con la persona amata non è esaudibile in tempi brevi (così, ad esempio, chi si trova lontano dalla persona amata può assurgere a feticcio un suo indumento intimo ).
Nei Tre saggi sulla teoria sessuale, Freud afferma che “un certo grado di feticismo è di regola proprio dell’amore normale, in special modo in quegli stadi di innamoramento nei quali la meta sessuale normale appare irraggiungibile, oppure sembra negato il suo adempimento. (… )
Il caso patologico subentra solo quando il desiderio del feticcio si fissa al di là di questa condizione e si sostituisce alla meta normale, inoltre quando il feticcio distaccato dalla persona diventa unico oggetto sessuale”.
La condizione, dunque, entrerebbe nell’area della patologia solo quando il feticcio arriva a sostituirsi completamente al rapporto sessuale, o a maggior ragione, quando esso si distacca da qualsiasi determinata persona e diventa per sé solo l’oggetto sessuale.
La preferenza dettata dai gusti personali, invece, per quanto apparentemente bizzarra o inconsueta, nel caso di una relazione sessuale, non toglie al soggetto la consapevolezza che si sta relazionando con una persona e quindi non toglie nel soggetto la sensibilità, l’empatia, la comunicazione con l’altra persona, che, invece, sono alterate in queste patologie.
Il feticismo è molto più rappresentato negli uomini rispetto alle donne. Dopo un lungo studio sulle fantasie erotiche e sul comportamento sessuale, Robert Stoller arrivò ad affermare che per gli uomini “feticizzare è normale”, in quanto essi risultano molto più propensi ad associare una certa carica erotica ad una particolare zona del corpo della donna, che essi prediligono .
Alfred Binet, uno psicologo francese, arrivò a postulare che l’ “amore normale” sia il risultato di una complicata forma di feticismo e suggerì la classificazione dei feticismi in “amore spirituale” e in “amore plastico”. La prima categoria occupava la “devozione” ( termine ricorrente in questo campo, così come quello di “adorazione”), per specifici fenomeni mentali, come i comportamenti, le classi o i ruoli sociali, mentre la seconda si riferiva alla devozione verso oggetti materiali come animali, parti del corpo od oggetti inanimati.
Il concetto di “amore plastico” è quello più conosciuto: vedere, sentire, annusare, inghiottire o palpare l’oggetto della propria attrazione è importante almeno quanto il rapporto sessuale tradizionale.
Il concetto di “amore spirituale” non è globalmente accettato perché è impossibile darne una definizione esaustiva e, comunque, l’ossessione mentale può progredire verso l’altra forma di “amore”. Per esempio, l’ossessione verso un dato comportamento sociale potrà introdurre il feticista ad adottare il “gioco delle parti”.
Il feticismo, secondo questo studio, può progredire in vari gradi di intensità:
Livello 1: esiste una leggera preferenza per certi tipi di partner, stimoli o attività sessuali.
Livello 2: esiste una forte preferenza per i casi citati nel primo livello. Questa sarebbe la più bassa intensità di feticismo.
Livello 3: sono necessari degli stimoli speciali per consentire l’eccitazione e la prestazione sessuale (moderata intensità di feticismo).
Livello 4: gli stimoli specifici prendono il posto dell’amante (alto livello di feticismo). Il livello di eccitazione è alto ma l’orgasmo non si riesce più a raggiungere.
Esistono, inoltre, svariate pratiche feticistiche raggruppabili in base al canale sensoriale coinvolto oppure in base alla natura del feticcio.
L’apparato visivo ha molto spesso un ruolo primario: un esempio molto diffuso è il feticismo del piede o della scarpa ( il dangling è quando si fa dondolare al piede una calzatura parzialmente indossata, oppure il crush fetish, il calpestamento), ma anche delle natiche, meno frequentemente. Il piacere derivante dall’atto del vedere entra in gioco anche nell’assistere ad alcuni atti corporei ( urinare, defecare e starnutire).
L’olfatto e il gusto sono più direttamente coinvolti nell’urofilia, nella coprofilia, o nell’adorazione di varie parti del corpo umano.
Il tatto svolge un ruolo principale in alcune forme di feticismo come quello che porta ad indossare abiti in latex o in PVC, come fossero una “seconda pelle”.
Riguardo alla natura del feticcio, si distinguono tre diverse categorie da cui questo può derivare: da specifiche parti del corpo umano (parzialismo), da fluidi o escreti biologici, e da alcuni oggetti inanimati quali possono essere gli indumenti.
Le parti del corpo umano assunte come feticcio sono, solitamente, il seno le natiche, i piedi, le mani le gambe, ma anche, seppure meno frequentemente, ascelle, naso, peli, ombelico. Tra i fluidi ed escreti biologici sono preferiti il sudore, la saliva, il vomito, le urine e le feci, mentre tra gli indumenti classicamente associati al feticismo occupano un posto di rilievo la biancheria intima, le calze, i guanti, le scarpe e gli stivali.
Il feticismo può essere inoltre legato ad alcune caratteristiche fisiche, come le donne in stato di gravidanza, la presenza di mutilazioni od altri handicaps fisici, oppure il sovrappeso.
Il feticismo può consistere in una pura “fascinazione immaginaria”, come nel caso della macrofilia ( attrazione sessuale o meno di un individuo verso persone “giganti”) o della vorarefilia ( essere mangiati o mangiare), oppure sfociare in un atto pratico. Le “modalità” di azione, inoltre, possono essere di tre tipi: una attiva, in cui il feticcio viene attivamente usato dal feticista, una passiva, in cui è un’altra persona a usare il feticcio sul feticista, ed una contemplativa, in cui il feticista si limita a trarre piacere dalla contemplazione dei feticci collezionati.
Entro più nello specifico a considerare il feticismo del piede, che è la tipologia statisticamente più frequente. Altrimenti definito podofilia, si caratterizza per l’intenso desiderio sessuale (prevalente o esclusivo) rivolto verso i piedi. Questa parafilia è presente tanto nel mondo etero che in quello omosessuale ed è, come già accennato, la forma più comune di feticismo sessuale legato a una parte del corpo umano. Talvolta questa “preferenza” sessuale si manifesta in persone che esprimono la propria sessualità nella forma della sottomissione. Nella storia, infatti, la lavanda dei piedi è sempre stata considerata una umiliazione
Non certo a caso nell’ antica Roma era compito degli schiavi lavare i piedi dei loro padroni, così come nella storia tra molti popoli i sovrani erano soliti farsi baciare i piedi (loro o dei loro figli) dai propri sudditi in segno di supremazia nei loro confronti (e, dunque, di sottomissione da parte degli altri).
Chi pratica il feticismo dei piedi, non è necessariamente un soggetto schiavo della persona alla quale dedica tali attenzioni, anche se questa forma di feticismo è spesso associata al sadomasochismo e al BDSM.
Secondo alcuni non esisterebbe una correlazione tra questi due aspetti della sessualità, almeno, non nel senso che una forma di feticismo sia associata all’altra, ma, parafrasando la celebre trasmissione di Mike Bongiorno, le parafilie “non lasciano, ma raddoppiano”, cioè potrebbe trattarsi di una comorbidità ( presenza contemporanea o diacronica di due quadri patologici). Non è raro trovare soggetti dominanti, ossia sadici, con un interesse per i piedi, così come non sono rari i casi in cui il feticista rivolge la sua attenzione esclusivamente al piede, concentrando il suo interesse in un’unica direzione.
Esiste, poi, un’altra parte di feticisti che ha una considerazione per i piedi analoga a quella che ha per le classiche zone erogene. In questo caso non potremmo parlare di una vera e propria “deviazione sessuale patologica”, poiché non sarebbe presente il carattere di esclusività nella sfera sessuale, quello senza il quale il soggetto non riuscirebbe a trarre piacere o a raggiungere l’orgasmo e potrebbe rappresentare un modo per rendere più vivace ed intrigante il rapporto con il partner.
I punti d’attrazione includono la forma e le dimensioni dei piedi e delle dita ( dita affusolate, oppure più tozze, unghie smaltate, arcate plantari alte, pianta del piede di forma particolare), gioielli (anelli, cavigliere), trattamenti (come il pedicure o il massaggio), calzature (piedi nudi, sandali, infradito, tacchi a spillo o collant ), odore, e/o interazione sensoriale (per es., annusando, leccando, baciando, solleticando, mordendo, succhiando le dita).
Le pratiche più umilianti spesso collegate al sadismo ed al masochismo sono: il “feeding from feet” che consiste nel mangiare prendendo il cibo direttamente dai piedi del partner; il “trampling” che consiste nel farsi calpestare. La pratica si può svolgere a piedi nudi, indossando calzature sportive, scarpe con tacchi alti o stivali; il “toejam eating” che consiste nel mangiare fango o la sporcizia accumulata tra le dita dei piedi del proprio partner.
Il feticismo dei piedi è tanto comune che spesso è argomento di trattazione nella letteratura e nel cinema, a cominciare da Lolita, in cui la protagonista è cosciente del potere dei suoi piedi, per passare, poi, a molti dei film di Quentin Tarantino, che nonostante neghi di essere un feticista, ama girare scene in cui i protagonisti sono proprio dei bei piedi; penso a Grindhouse o a Bastardi senza gloria in cui Diane Kruger, peraltro interamente affascinante, mostra gambe e piedi in tutto il loro indiscutibile splendore.
Il Sadomasochismo è, nella concezione comune del termine, l’insieme delle pratiche erotiche basate sull’imposizione di sofferenze fisiche (tramite oggetti che possono provocare dolore come fruste ecc..) o mentali su un partner.
Le due parole di cui si compone il termine, ossia sadismo e masochismo, derivano dai nomi di due autori. Il primo è il Marchese de Sade, un aristocratico francese vissuto nella seconda metà del XVIII secolo, autore di romanzi erotici in cui viene descritta approfonditamente la pratica erotica di godere del male altrui, ossia provare piacere per il dolore inflitto agli altri, come Le “120 giornate di Sodoma” (1785), “La filosofia nel boudoir” (1795), “La nuova Justine” (1797) e “Juliette” (1801).
Il secondo è Leopold von Sacher Masoch, scrittore austriaco della metà dell’800 il quale ha praticato la sottomissione maschile e descritto le sue fantasie erotiche in molti suoi romanzi, come Venere in pelliccia (1870). Queste due caratteristiche, il piacere nel dominare e il piacere derivante dall’esser sottomessi, sono divenute, appunto, dei veri e propri quadri psicopatologici diagnosticabili.
Chi inserì per primo i termini sadismo e masochismo nella terminologia medica fu lo psichiatra tedesco Richard von Krafft-Ebing nella sua Neue Forschungen auf dem Gebiet der Psychopathia Sexualis (Nuova ricerca nel campo della psicopatologia del sesso) del 1886. Nel 1905 anche Sigmund Freud descrisse il sadismo-masochismo nei suoi Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie (Tre saggi sulla teoria sessuale) 18 facendolo derivare da uno sviluppo psicologico aberrante avvenuto nella prima infanzia; egli ha anche gettato le basi per la prospettiva medica (ampiamente accettata in materia) dei decenni successivi. Questo ha portato al primo utilizzo del termine composto sado-masochismo da parte di Isidor Isaak Sadger, un medico legale seguace della psicoanalisi viennese, nel suo lavoro intitolato Über den sado-masochistischen Komplex (Per quanto riguarda il complesso sadomasochista) del 1913.
Alla fine del XX° secolo gli attivisti del BDSM hanno protestato contro questi modelli concettuali, fondati esclusivamente su osservazioni di pazienti psichiatrici e costruiti sul presupposto di una psicopatologia: i sostenitori del sadomaso affermano pertanto l’illogicità nel voler attribuire fenomeni comportamentali umani complessi a delle creazioni letterarie.
In contrasto con chi vuole spiegare il sadomasochismo attraverso approcci psicologici, psicoanalitici, medici o legali, i quali cercano tutti di catalogare in una forma fissa e stabile comportamenti e desideri nel tentativo di ricondurli ad una radice comune che ne smascheri la “causa scatenante”, Byrne suggerisce invece che tali pratiche possano anche esser vedute come esempi di “sessualità estetica”, in cui l’impulso fisiologico o psicologico fondante diventa irrilevante. Sadismo e masochismo possono essere, allora, una libera scelta, guidati da alcune caratteristiche estetiche legati allo stile, al piacere e all’identità; pratiche che potrebbero essere paragonate alla creazione artistica.
Lo psichiatra Joseph Merlino ha affermato che un rapporto sadomasochistico, fintanto che è consensuale ( Safe, Sane and Consensual) non è un problema psicologico, ma può diventarlo, “solo se viene fatta violenza ad una persona, se c’è costrizione, se si approfitta dell’eventuale fragilità psichica di una persona e se ciò causa difficoltà nella vita personale o professionale. Se nulla di ciò è, io non vedo come la cosa possa definirsi un problema”.
Nel feticismo si perde di vista la totalità delle persona “amata” per concentrarsi su una parte di essa. O, nel sadomasochismo, il sadico asservisce il masochista al suo piacere, masochista che, a sua volta, prova piacere nel soffrire, Dunque piacere come dolore o dolore come piacere? Come sostiene ed approndisce lo psichiatra e sessuologo Giorgio Abraham, al quale si devono molti studi nel settore, i fasci e le fibre nervose che trasportano entrambi sono le medesime. Quella che varia è l’intensità del percepito: una stessa stimolazione se protratta o troppo profonda, può diventare fastidiosa se non addirittura dolorosa; varia anche il percepito in relazione a chi ci “stimola”: la stessa carezza ha un effetto molto diverso se chi ce la fa è da noi desiderato oppure no.
Il Feticismo in Criminologia
E’ interessante riportare un’appropriata classificazione di quelle che vengono definite psicopatie sessuali, elaborata dallo studioso Krafft-Ebing:

a) Paradossia = manifestazione di stimolo e desiderio sessuale al di fuori del contesto della normale attività libidica e fisiologica;
b) Anestesia= assenza di stimolo sessuale;
c) Iperestesia= stimolo sessuale abnorme;
d) Parestesia= deviazione dello stimolo sessuale.

Interessante è anche la ripartizione di Krafft-Ebing che divide le perversioni (parafilie) in due grandi gruppi: il primo dove è perverso lo scopo dell’azione; il secondo dove ad essere perverso è l’oggetto e conseguentemente l’azione.
Le parafilie sono qualificate secondo una prospettiva medica e non morale. Quello che è maggiormente interessante da un punto di vista criminologico è che nella quasi totalità dei casi i soggetti parafilici non vivono questa condizione come una malattia, motivo per il quale, dal punto di vista del diritto penale, chi commette un reato del genere viene considerato capace dal punto di vista della responsabilità penale. Ecco quindi che si può tranquillamente affermare che gli individui parafilici, portatori, pertanto, di perversioni sessuali, non sono quasi mai affetti da malattie mentali e solo in alcuni limitati casi, la parafilia può rappresentare l’epifenomeno di una realtà connotata da patologie psichiche come nel caso degli alcoolisti inveterati, dove la loro condizione li porta ad un controllo ridotto e scemato sui propri istinti – soprattutto della sfera sessuale – motivo per il quale possono essere maggiormente esposti al rischio di alcuni comportamenti parafilici, il più comune dei quali è l’esibizionismo.

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