La Sindrome di Stoccolma: singolari storie d’amore

Quando è l’ abuso a legare emotivamente le persone a colui che lo esercita, la violenza psicologica, infarcita da piccole gentilezze, può creare un legame tra vittime e abusanti in modo più coinvolgente di quanto possa fare un comportamento corretto ed onesto. E’ proprio corretto allora parlare di “vittime”?
Il termine “vittima” evoca un senso di passività, come se la donna non fosse responsabile della decisione di stare con il suo “carnefice” Lo psicopatico non obbliga fisicamente qualcuno a stare con lui; la donna che ci rimane insieme è consenziente: ed è lì la traccia della violenza psicologica.
Joseph Carver nell’articolo “Love and Stockolm Syndrome: The Mistery of Loving an Abuser” (drjoecarver.com), sostiene di aver sentito dire spesso, da parte delle donne che stanno con gli psicopatici, frasi del tipo: “So che è difficile da capire, ma nonostante tutto quello che mi ha fatto, lo amo ancora”.
Provare amore per un uomo che ci tratta male può sembrare irrazionale ma è abbastanza comune. Anche i bambini picchiati o molestati trovano rifugio e consolazione nelle braccia stesse che li hanno picchiati. Così gli ostaggi spesso si legano emotivamente agli artefici delle violenze. Qualche volta arrivano a difenderli di fronte ad amici,familiari e persino ai mezzi d’informazione, alle forze dell’ordine e ai magistrati.
Questo fenomeno psicologico, apparentemente inspiegabile, ma così comune, ha acquisito un nome proprio: la Sindrome di Stoccolma, da un incidente accaduto a Stoccolma, in Svezia. Il 23 agosto 1974, quando due uomini armati di fucile entrarono in una banca e tennero tre donne e un uomo in ostaggio alcuni giorni; alla fine di questa disavventura le vittime presero le parti dei rapitori, difendendoli davanti ai media e alla polizia. Una donna ebbe persino una liaison con uno di loro. Quelli che soffrono della Sindrome di Stoccolma sviluppano un particolare attaccamento nei confronti di chi fa loro violenza. Finiscono per accettare bugie e giustificazioni, il che rende difficile, se non impossibile, mettere in pratica comportamenti idonei a velocizzare il distacco da chi ci fa male. Spesso gli atteggiamenti maltrattanti si alternano al ritorno alla “luna di miele”: frasi dolci e romantiche, atteggiamenti affetto si che fanno dimenticare, di colpo, le umiliazioni subite, come se rutto potesse tornare come prima o come se l’atteggiamento di violenza fosse solo una parentesi grigia nell’ambito di una storia meravigliosa.
La violenza psicologica trova il suo terreno fertile quando le capacità di giudizio e di autostima sono compromesse in sé nella vittima, ab origine, da un ambiente familiare a sua volta maltrattante o da precedenti relazioni sentimentali simili, oppure iniziano a vacillare proprio a causa della vicinanza di uno psicopatico. Così si finiscono per interpretare qualsiasi regalo, insignificanti promesse e atti di gentilezza come segnali positivi. Si arriva a credere che questa è la volta buona: che lui cambierà, che imparerà ad amarla, che se finora non è successo è stato per colpa sua, che non è stata capace di dimostrargli quanto lo ama e quante buone qualità la distinguono dalle altre che lui potrebbe avere. Lei si ostina comunque a credergli anche quando l’atteggiamento si ripete ancora e ancora. E’ quello che in psicologia si chiama “trauma bonding” (legame di sofferenza).

La vittima della Sindrome di Stoccolma vive aggrappata alla speranza che se resisterà e continuerà ad amarlo in modo incondizionato, alla fine lui riuscirà a vederla nella giusta luce.
Lo psicopatico, da parte sua, incoraggerà questa falsa speranza e, con occasionali parentesi di correttezza e dolcezza, continuerà ad instillare nella vittima il senso di colpa, quando lui tornerà a maltrattarla. L’ autostima della donna è completamente dipendente dalla approvazione e ipersensibile alle critiche dell’uomo.
Ma psicopatici e narcisisti non possono mai essere soddisfatti, anche se possiedono il meglio. Le relazioni con loro sono sempre basate sul controllo, e mai sull’ amore reciproco. Così più questi uomini ricevono dalle loro compagne, più pretendono. Il massimo dell’aspetto fisico e della cura di sé, i traguardi in ogni settore della vita, nulla è mai abbastanza. La donna entra nel circuito malsano di pensare che il suo uomo voglia spronarla a dare il meglio di sé, ma il tutto viene compiuto in una specie di vissuto ipnotico. In realtà non essendoci un rapporto intersoggettivo, inteso come rapporto tra due esseri umani, l’uomo cerca semplicemente uno specchio, il più splendido e lucente possibile, in cui riflettersi, ma da ridurre in mille pezzi se l’immagine che dà non è quella che lui si aspetta di vedere. Conseguentemente, più riceverà dalla sua compagna, più pretenderà. Qualsiasi donna che si pone come obiettivo nella propria vita la gratificazione di uno psicopatico è destinata a fare i conti, alla fine, con un’autostima ridotta in mille pezzi. Carver definisce una distorta percezione della realtà, che gli psicopatici comunemente causano nelle proprie vittime, “dissonanza cognitiva”, che consiste nella erronea, ma persistente, convinzione di non riuscire ad attrarre e a soddisfare nessun altro uomo.
In termini generali, più a lungo si sta con uno psicopatico, minore sarà la possibilità di riprendersi. L’amore tormentato verso di lui potrà durare per tutta la vita, anche se è molto improbabile che lui resti in zona per così tanto. Se non viene lasciato, ci sono buone possibilità che sia lui a lasciare per inseguire, altrove, nuove opportunità. Ed è quella la vera salvezza, visto il numero sempre crescente di tentativi di suicidio nelle vittime.

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