Aristotele e la sua Felicità

Il concetto di “felicità” ed i possibili modi per raggiungerla, permeano il pensiero di molti filosofi.
Dal nostro punto di vista ( noi, che filosofi non siamo), la felicità è transeunte, è riservata solo a pochi. Sarebbe un destino, più che una nostra opera. La vita stessa, per molti di noi, non sarebbe imparentata con la felicità. Aristotele parte dal presupposto che sia necessario indagare sul “bios”, sulla vita stessa, interrogarsi sul suo essere e sul divenire, sul suo percorso. E’ vero che Bios ci preclude delle prospettive, ma è anche vero che ce ne apre delle altre, ed è su quelle che dobbiamo “lavorare”. Soggetto ed oggetto di indagine è la vita stessa.
Tornando al concetto di felicità, che, quindi, è strettamente imparentato con la vita, Platone sostiene che tutti desideriamo essere felici. Ed esisterebbe, secondo il suo pensiero, una domanda di felicità, ossia l’universale tensione ad essere felici, ed una domanda sulla felicità, che può dare origine a risposte molteplici. Deve esserci, però, un “telos”, uno scopo dell’esistenza, un obiettivo. Secondo Aristotele se non c’è un termine ultimo del desiderio, ogni cosa che facciamo perde il suo fascino. Il fascino delle cose risiede, dunque, nella possibilità di realizzarle e nell’impegno che ci mettiamo perchè questo avvenga. Come realizzare la felicità? Personalizzandola, ognuno per sé, non seguendo degli stereotipi, non può esistere una felicità che vada bene per tutti. Gli stereotipi, in sé, recano il concetto di essere spendibili da tutti ma adatti a nessuno. Il modello teorizzato da Aristotele richiede molta fatica, un impegno costante, ma solo così la felicità può essere “su misura” del singolo. Parliamo di felicità al singolare, ma Aristotele parla di “vite felici”, è una declinazione al plurale. La felicità non è solo un terminus ad quem, ma anche un terminus a quo, è un punto di partenza, ma anche un orizzonte di senso: ogni altro bene viene orientato verso esso. La felicità è un intero, che non risulta però dalla semplice somma delle parti, ma investita da una logica che preesiste alle parti stesse e le “posiziona”, ognuna al suo posto, correttamente. Dunque, non è importante solo che ci siano delle cose, ma che esse siano adeguatamente e correttamente incasellate nella nostra vita. La felicità è come un quadro, in cui ogni pennellata ne fa parte, ma la precede anche, andando a posizionarsi proprio in quel posto, un punto di partenza ma anche di arrivo. La felicità è uno spartito musicale, in cui l’armonia dell’insieme deriva dal suonare ogni nota al momento giusto. Una vita felice è una vita composta da più elementi, ma sempre a misura d’uomo, calata sull’umano sentire. L’esistenza stessa, dunque, è fatta di parti, che, contemporaneamente sono in relazione tra di loro e con il tutto. Ogni parte ha senso e valore solo in quanto parte del tutto. Una vita è armonica non perchè armonica di per sé, ma in quanto armonizzata. L’uomo ha il compito di mettere al posto giusto le eventuali disarmonie. Tutto ciò, ovviamente, non è un regalo, ma richiede impegno e forza verso le sfide che la vita ci pone di fronte. Siamo portati a pensare alla felicità come ad uno stato d’animo transeunte, effimero, perchè, in effetti, un breve periodo di tempo non rende felice nessuno, ma Aristotele ci insegna che la felicità dovremmo imparare a dispiegarla lungo tutta la vita. Certo, quando si è vittima di un dolore non si può essere felici, ma sicuramente aiuta esercitare l’arte della “sofia”, della sapienza, che, però, non può essere bagaglio di tutti. Più diffusa ed accessibile è la saggezza, che permette di realizzare una felicità a misura d’uomo, che può durare tutta la vita, è un edificio dotato di solide fondamenta, che si tiene in piedi nonostante le avversità ed i momenti bui. Non siamo imperturbabili o inattaccabili, ma avere solide basi aiuta ad affrontare le avversità. La vita felice, dunque, non capita, ma va realizzata, è frutto di una strategia ( eupraxia), un “giocare bene”. La saggezza è per noi la virtù più importante. Il saggio è colui che conosce il “tessuto” della vita e sa intrecciare bene trama ed ordito, sa giocare al meglio la sua esistenza. Non serve a nulla avere delle buone carte in mano, se poi non le si sa giocare. Il nostro scopo deve essere quello di realizzare il meglio con ciò che abbiamo. Anche se la felicità è continuamente aperta al rischio, anche quando ci sembra di averla raggiunta, comunque giocare con le carte della vita (ma non con la nostra vita), ne vale sempre la pena.

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