La difficoltà del successo

Stamattina ho iniziato questo 2017 con delle riflessioni condivise con l’amico Gianni Di Quattro, a proposito dell’arroganza mostrata da alcune persone nei rapporti interpersonali ed in quelli lavorativi. Spesso a loro viene insegnato che basta volere una cosa per ottenerla, anche se non si hanno particolari doti, ed anche se non lo si merita. Insomma, i valori non contano, basta la perseveranza e l’aggressività. Anzi, si vede sempre più spesso che i più accaniti “inseguitori” del successo sono proprio i meno dotati per ottenerlo. Lo raggiungono? A volte sì. D’altronde il loro cieco narcisismo non li porterebbe a gareggiare se sapessero di poter perdere. Quindi, in qualche modo, sembrano andare a colpo sicuro.
Ma c’è una dote che dovrebbe essere imprescindibile per avere successo e che, addirittura, sembra andare al di là di un un elevato Quoziente Intellettivo o di essere competenti da un punto di vista professionale; occorrerebbe, secondo Daniel Goleman, poter disporre della cosiddetta ” intelligenza emotiva”. Dunque, non solo avere capacità ( figurarsi a non averle neppure!), ossia competenze di tipo personale, ossia come riusciamo a controllare noi stessi, ma anche qualità e doti di tipo relazionale, legate al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.
Quali possono essere i fattori che portano un individuo ad avere successo nella vita in genere, e sul lavoro in particolare?Penseremmo subito ad un’intelligenza vivace, ad una carriera scolastica brillante, all’essere dotati di precise competenze professionali. Non tralasciando anche alcuni fattori legati al “destino”, come quando ci si trova al posto giusto al momento giusto, far parte di una classe sociale elevata, ed avere un aspetto fisico avvenente. Secondo Goleman questo non è sufficiente. Se pensiamo ad una persona con una straordinaria intelligenza, brillante dal punto di vista accademico, competente sul piano lavorativo, ma arrogante, irascibile, incapace di trattare con le altre persone e di gestire le proprie emozioni. Nonostante le sue competenze professionali e la sua intelligenza, non è detto che avrà successo nella sua carriera professionale. O meglio, potrebbe averlo, ma il suo modo di relazionarsi con gli altri, non la porterà lontano.
L’ intelligenza emotiva risiederebbe, invece, in un modo particolarmente efficace di trattare se stessi e gli altri. Le qualità che contraddistinguono questa dote sarebbero racchiuse in una capacità di motivare se stessi e di continuare a perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni. Insomma non arrendersi di fronte a possibili difficoltà. Che, però, non vuol dire intestardirsi ciecamente sul voler raggiungere qualcosa, sapendo di non averne le competenze. Sarebbe molto importante anche la capacità di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; la capacità di modulare i nostri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; la capacità di essere empatici.
Riassumendo, alla base dell’intelligenza emotiva ci sarebbero queste due grosse competenze: l’una rivolta verso noi stessi e dunque legata al modo in cui siamo capaci di controllarci ed una competenza di tipo sociale , legata al modo in cui riusciamo a gestire le relazioni con gli altri. Questi due tipi di competenze non solo non sono affatto scontate od innate, ma neppure necessariamente compresenti.
Entrambe si caratterizzano per abilità specifiche, come la consapevolezza, la padronanza di sé e la motivazione, da un lato. E l’empatia e le abilità nelle relazioni interpersonali, dall’altro.
La consapevolezza di sé implica la capacità di riconoscere le proprie emozioni e di imparare a chiamarle con il loro nome.
In genere quando qualcosa non va bene, il lavoro non riesce, i colleghi non ci capiscono, non ci considerano o peggio sembra che ci utilizzano, l’emozione prevalente è la rabbia. In realtà la rabbia in sè deriva da altre emozioni, la delusione, lo sconforto o la paura. Se impariamo ad individuare l’emozione prevalente in noi in quel momento, riusciremo anche a controllarla e gestirla meglio.
La consapevolezza di sé comporta un’autovalutazione delle proprie risorse interiori, delle proprie capacità ed anche dei propri limiti. Indispensabile allorquando esprimiamo il nostro punto di vista.
La padronanza di sé è anche autocontrollo, quindi capacità di dominare le proprie emozioni , ma questo non implica soffocare o negare le emozioni stesse.
Provare una emozioni è permesso, ma non tutte le emozioni possono essere espresse. Essere dotati di intelligenza emotiva significa essere in grado di gestire i propri sentimenti, imparando a riconoscerli, essere capaci di controllarli ed esprimerli in modo appropriato ed efficace. Siamo troppo avvezzi a pensare che se una emozione non possiamo esprimerla, vuol dire che la stiamo soffocando. Come se, per essere espressa, una emozione debba necessariamente venire condivisa. Impariamo, invece, a vivere le nostre emozioni nella nostra interiorità. L’emotività non può essere incontrollata, perchè questa coinvolge altre persone ed assume valenze spesso negative. Essere padroni di sé significa anche saper riconoscere i bisogni ( soprattutto altrui) e innescare o gestire il cambiamento.
La motivazione risiede nell’insieme delle tendenze emotive che guidano, sostengono o facilitano il raggiungimento di obiettivi. Essa comporta sia la spinta alla realizzazione personale, sia l’impegno nel dare senso e sostegno anche ad un lavoro d’équipe. La motivazione è sorretta da uno spirito di iniziativa, dalla capacità di concentrarsi su un obiettivo e dalla prontezza a cogliere le opportunità. Non guasta una buona dose di ottimismo, ossia di capacità di essere costanti nel perseguire gli obiettivi, non arrendendosi di fronte agli ostacoli incontrati e agli errori commessi, e di capacità di puntare sulla speranza di successo e non sulla paura del fallimento. Questa condivisione consente di mettersi in sintonia con l’equipe e di incoraggiarsi a vicenda. consente anche di mettersi in sintonia con i sentimenti degli altri.
L’empatia è l’insieme alle abilità nelle relazioni interpersonali.
Essere empatici significa far risuonare dentro di sé i sentimenti degli altri come se fossero i propri ma senza dimenticare i propri, in una sorta di vicinanza senza confusione di limiti. Non si può discutere il modo in cui gli altri provano un’emozione, nè tantomeno assumere il ruolo di giudici, ma accettarla e condividerla, perchè è quella la modalità relazionale di quella persona, in quel preciso momento. . Possiamo discutere o i comportamenti, che sono, appunto, l’espressione agita, magari in modo errato, ma non le emozioni sottostanti. Nell’essere empatici appare anche importante valorizzare le qualità altrui e non porsi come chi “pietosamente” sa condividere il dolore. Ricordiamo spesso a noi stessi che è più facile condividere e compartecipare ad un fallimento di qualcuno, che non ad un suo successo.

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