Per una Filosofia della Resilienza

Il termine “resilienza” ha diversi campi di applicazione. In Ingegneria è la capacità di alcuni metalli di resistere alle forze ed agli urti che possono subire ed, in qualche modo, di riplasmarsi trovando un loro adattamento. In Psicologia ed in genere nella vita quotidiana è la capacità che bisognerebbe noi tutti avere, di non soccombere alle difficoltà ed agli eventi avversi che la vita ci riserva, ma si affrontarli e di rinforzarci grazie ad essi. Di resistere, e non solo. Dunque non partire dal concetto di malattia ( psicologica o fisica che sia), ma dallo stato di salute, dalle nostre capacità di resistere, di rinforzare in noi le capacità positive, perchè è da esse che si deve ricominciare. La resilienza potrebbe essere derivabile anche da un concetto filosofico, quello che Platone chiama “Thymoeldès”, che in greco significa “respiro”, ma anche “cuore”, un termine che rimanda all’anima, a quell’ambito che rende l’anima capace, adeguatamente allenata, di cogliere tutto ciò che è vero emozionalmente.
Platone nella Repubblica distingue la thymoeidès dal loghisticon, che rappresenterebbe il razionale. La thymoeidès viene distinta anche dall’ Epithymeticon, cioè la parte dell’anima, passionale. Di fatto, quando inizia una lotta tra le passioni nell’anima, sarà proprio l’emozionalità a legarsi con la parte razionale e a dirigerla.
Questa teoria dell’anima è descritta da Platone nel Fedro con l’allegoria della biga alata: l’auriga che guida la biga è la razionalità e i due cavalli rappresentano la passione e l’emozione. L’emozione è un cavallo bianco che comprende il linguaggio dell’auriga (l’anima razionale) ed è continuamente attiva nell’atto di moderare il cavallo nero simbolo invece delle passioni.
L’emozione media, dunque, continuamente, tra razionale e passionale.
Dunque occorre una grande forza d’animo, ossia la resilienza.
Il filosofo Galimberti afferma che la forza d’animo è quel sentimento che ci consente di orientare le nostre scelte sempre dopo aver analizzato la nostra parte razionale e quelle scelte devono essere proprio nostre, altrimenti rischieremmo di sentirci estranei alla nostra stessa vita. Rimanere aderenti alla nostra vita è alla base del nostro stato di salute cioè dell’esatta coincidenza di noi con noi stessi.
La malattia, in questo senso, sarebbe una devianza dalla salute, un prevalere di quella parte oscura di noi stessi, quella zona d’ombra che noi spesso trascuriamo, perchè nello stato di salute vediamo ed apprezziamo solo la luce. Ma nel corso della vita le ombre sono inevitabili. L’importante è fare in modo che esse non prevalgano, ma che riusciamo a trovare in noi quella luce ( che a volte ci sembra di non poter più scorgere), che ci rinforza e ci permette l’accettazione anche del dolore, della sofferenza e del buio sentire.

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