Il buono fa anche bene

Queste riflessioni mi sovvengono ora, dopo un dialogo con il mio compagno di vita, rispetto a ciò che ci piace ( nel senso più ampio del termine) e che quindi, in quanto ci arreca piacere, ci farebbe necessariamente anche bene.
Genericamente, col termine “bene” si indica tutto ciò che agli individui appare desiderabile e quindi che possa essere considerato il fine ultimo da raggiungere nella nostra esistenza.
Se, però, ci addentriamo nella storia della filosofia, all’aspetto “etico” si affianca quello “ontologico”. Platone e i suoi successori avevano stabilito un’equiparazione tra Buono, Bello e Vero (Kalokagathia). Concezione condivisa anche dal Cristianesimo: il Dio cristiano è, oltre che onnipotente e onnisciente, la pura essenza della bontà, della bellezza e della verità.
Quando il bene assume un significato pragmatico, si identifica con l'”azione buona” (fare del bene equivale a compiere buone azioni,
Il concetto di bene nella filosofia occidentale è considerato in opposizione al concetto di male, mentre nel pensiero orientale il male ha anche un valore gnoseologico, perché corrisponde alla ignoranza del divino e del vero.
Nella storia della filosofia il concetto di bene è stato delineato secondo due concezioni: quella metafisico-oggettivistica e quella soggettivistica.
Nell’ambito del soggettivismo è collocato il relativismo che, negando alla radice la capacità umana di stabilire criteri di giudizio oggettivamente validi, nega anche le basi su cui si fonda la morale tradizionale.
Secondo il relativismo è la comunità di cui ogni singolo individuo fa parte, quella in grado di esprimere un giudizio di valore sul grado di “bontà” di un certo comportamento umano. Quindi, quanto maggiore sarà il consenso, tanto più giusto (cioè “buono”) un individuo (o un comportamento) saranno considerati. Le leggi morali, allora, non potrebbero, essere valide in senso assoluto, ma dovrebbero, come tutte le altre leggi, trovare la propria convalida nell’approvazione di tutto il corpo sociale,
Alla concezione metafisico-oggettivistica appartengono invece la maggior parte delle dottrine religiose che si oppongono a questo modo soggettivistico di intendere la morale, sostenendo che le leggi morali, o in quanto rispondenti a principi universali o perché “dettate” da un’entità divina superiore, sono verità “rivelate”, valide di per sé. Per un credente, quindi, è la divinità che rappresenta l’ideale di “bene assoluto”.
Per Platone il Bene è pari al Sole (Repubblica) e come il sole con la sua luce dà visibilità alle cose, così il Bene dà intelligibilità alle idee, cioè rende possibile alle idee di essere capite e come il sole con la luce dà capacità visiva all’occhio così il Bene dà intelligenza, capacità di capire all’anima. Il Bene rappresenterebbe allora il modo attraverso il quale l’anima riesce a capire ciò che è per lei comprensibile.
Tutto il mondo esiste perché è bene che esista. Le cose esistono perché sono buone e le cose essendo buone sono uno strumento per arrivare al Bene.
Secondo Platone, i beni sono di due specie: umani e divini, dunque vi sarebbero due modi di interpretare il Bene: la modalità “umana”, che consiste nel ridurre il Bene a ciò che è utile e vantaggioso per gli umani ed è questa una visione antropocentrica del Bene. Il Bene in se stesso, però, trascende l’essenza con una una configurazione ben più ampia, ed ha carattere divino,
Il Bene divino trascende ogni limitazione e richiede un’apertura noetica completa, collocandosi «al limite estremo dell’intelligibile», e proprio per questo «è difficile a vedersi». Il Bene, allora, è come il Bello ed è distribuito lungo un continuum le cui tappe devono essere percorse fino a giungere all’Ideale perfetto.

Bibliografia
Bortolotti A, La religione nel pensiero di Platone: dalla Repubblica agli ultimi scritti, Firenze, 1991 ISBN 88-222-3834-6
Friedlaender P, Platone Eidos-Paideia-Dialogos, La Nuova Italia, Firenze, 1979.
Findlay J, Platone le dottrine scritte e non scritte, Vita e Pensiero, Milano, 1994.

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