“C’è qualcosa in noi, qualcosa nel nostro modo di amare che tende a distruggere proprio le cose a cui teniamo di più. Generalmente noi tendiamo a non essere generosi, in quanto ciò rappresenterebbe una minaccia per noi umani” in Adam Phillips, Barbara Taylor ( Elogio della gentilezza)
Il mondo odierno è in continua corsa, non sempre si sa verso quale obiettivo. Corsa che porta noi poveri abitanti, spesso a fare fatica ad accorgerci, anzi, il più delle volte ad ignorare chi ci passa vicino.
Se questi ha un ritmo più lento, è possibile che non lo si veda proprio, se ha un ritmo pari al nostro, lo si scorge, ma purtroppo, per cercare di fare in modo che non ci sorpassi. Se è avanti a noi, allora è una tragedia. Così questo è diventato il mondo delle corse sfrenate, dei desideri inappagabili, della inciviltà, della sgarbatezza. Si è sempre meno gentili verso chi ci è vicino e sicuramente non per mancanza di tempo, a causa del continuo correre, ma perchè, più spesso, sono state perse certe buone abitudini. Cosa è la gentilezza? Un valore discreto, ma di importanza immensa, che può essere declinato in varia maniera. E’ comprensione, è capacità di dare la giusta attenzione all’altro, di accogliere in sé le altrui fragilità. Ma anche, nel contempo, capacità di dare, altruismo, generosità, amore. Chissà perchè ci siamo disabituati a questo sentimento che sembra fuori tempo, desueto, quasi sospetto: se qualcuno è gentile con noi, facciamo fatica a pensare che i suoi modi siano autentici e che la sua gentilezza verso noi sia solo un paravento per ottenere altro. Per riuscire a superarci nella corsa, distraendoci, per ottenere le nostre “grazie”, oppure perchè, riuscendo a conquistarci, possiamo accrescere il suo Io già ipertrofico. Purtroppo il più delle volte è diventato così, ma questo non ci deve portare a pensare che sia sempre ed inevitabilmente così.
La gentilezza andrebbe recuperata, nelle nostre parole e nei nostri gesti, come valore irrinunciabile nella nostra quotidianità.
Se diamo un’occhiata al passato, la gentilezza era un sentimento molto comune e condiviso tra le persone, in molte epoche, non certo, come oggi, un segno di fragilità.
Seneca, nel 64 d.C. meditava sull’amicizia, un vero e proprio dovere dell’uomo che, coltivando questo bene, può arrivare ad essere felice
“… Vivi per gli altri se vuoi vivere per te stesso”.
Gli epicurei, descrivevano l’umanità come un insieme di individui, guidati dall’amore di sé e dalla ricerca del piacere personale.
Per gli stoici, invece, l’amore di sé esisteva ma quasi come fenomeno temporale, nel senso che ogni persona nasce con un attaccamento primario a se stessa, ma quando raggiunge l’età della ragione rivolge il suo attaccamento agli altri.
Il piacere stoico era uno stato dell’anima, che portava l’individuo ad essere in armonia con la natura.
Secondo Aristotele, l’amicizia era un amore di sé ma rivolto all’esterno ed a questo proposito il Sé rimaneva al centro di cerchi concentrici di “oikeiosis”, in cui i cerchi più interni erano composti dai consanguinei, fino ad estendersi a tutta l’umanità nei cerchi più esterni.
Anche Marco Aurelio pone attenzione all’ oikeiosis, considerandola una virtù sia se rivolta verso sé che verso l’esterno.
Durante il Rinascimento si sostiene la priorità della concordia sociale rispetto ad una vita orientata su di sé,
Ma fu la la cristianità che sacralizzò gli istinti buoni delle persone, alla base di una fede universalistica.
La caritas è stato il collante culturale, che ha tenuto uniti gli individui, conferendo dignità “anche” alle donne.
Il passaggio dalla società pagana a quella cristiana, infatti, rappresentò un momento chiave nella storia della gentilezza. La gentilezza d’animo pagana si era sviluppata sulla base di inevitabili distinzioni tra uomini: liberi e schiavi, ricchi e poveri, uomini e donne, cittadini e stranieri.
La gentilezza portava le persone a diventare erano gentili perché in questo diventavano pienamente umane e non per dovere cristiano.
I predicatori cristiani, invece, adottarono la parola greca “agape” che era amore divino.
Seguendo S. Agostino si sosteneva che senza il sacrificio di sé i rapporti tra gli uomini diventassero “viziosi e bestiali”.
In netta contrapposizione appare il parere di Calvino, secondo il quale, l’uomo era una “creatura satanica, un infetto e spregevole grumo di terra” i cui impulsi erano egoisti e malvagi.
Con la riforma protestante la caritas venne fortemente limitata, fino ad acquisire il senso moderno del termine.
La società tende sempre più ad una visione sempre più laica e sempre meno religiosa. Il piacere è descritto finalmente anche dal punto di vista sessuale e questo anche grazie alla Psicoanalisi, laddove Freud collega ogni tipo di fenomeno nevrotico alla libido sessuale. Nel corso del XIX secolo, infatti, il piacere si ridusse alla sola dimensione erotica, spostandosi dal cuore ai genitali.
Non si può eludere, però, in questo discorso, il concetto di “simpatia” elaborato da Hume e Rousseau.
Oggi simpatia significa compassione o pietà, ma per tutto il XVIII e il XIX secolo, ebbe un’ampiezza semantica maggiore, riferendosi all’idea di una reciproca condivisione di sentimenti tra persone.
I teorici dell’egoismo, concepivano gli individui come dei mondi chiusi in se stessi, i teorici della simpatia li consideravano alla luce di un legame affettivo, e la vita emotiva di un individuo era destinata a evolvere sotto la diretta influenza dei sentimenti da cui era circondata.
La soggettività “interpersonale” rendeva possibile la generosità.
Secondo Rousseau (1712 – 1778), l’uomo nasce buono, ed è la società che ne muta gli aspetti. I bambini nascerebbero come esseri naturalmente generosi, ma destinati a mutare quando cominciano a crescere nella società che hanno attorno, anche se le forme che può assumere la gentilezza d’animo vengono apprese proprio col vivere in società.
L’ “amour de soi” , necessario per la sopravvivenza e la pietà, la compassione per le sofferenze altrui, sono i due aspetti presenti alla nascita. L’ingresso nella società trasforma l’amour de soi in amour propre, che diventa la tendenza negativa che induce ad anteporre se stessi agli altri.
La capacità individuale di essere gentili dipende dall’intensità dell’amour de soi, cioè dal sano amore per se stessi.
La generosità è per lui la pitié ( traduzione letteraria di pietà, ma molto più simile alla simpatia di Hume.
La pitié sarebbe un “istinto primordiale che sparisce quando l’individuo si fa civilizzato”.
Solo le madri, i bambini e i popoli non civilizzati conservano la capacità di sentirla.
Ben presto, però, crescendo, il giovane scopre che la gentilezza non è l’unico modo in cui le persone si rapportano agli altri. Gli umani sono ambivalenti, e la loro sensibilità nei confronti degli altri può anche renderli “odiosi e crudeli” .
Rousseau pone la nascita psicologica della generosità nella pubertà, dove il desiderio erotico genera un conflitto che può dar vita “all’animosità o alla pitié” e sostiene che la capacità di essere gentili è strettamente collegata alla capacità di amare noi stessi
Thomas Hobbes (1588 – 1679), invece, sostiene che gli uomini sono bestie egoiste che non pensano ad altro che al loro benessere e il sacrificio di sé veniva praticato di rado, nonostante i numerosi propositi.
Durante l’epoca illuminista, le ” indagini” sul carattere femminile, portarono a concludere che le donne erano più inclini alla gentilezza degli uomini.
Il concetto di gentilezza è considerevolmente mutato nel tempo; una volta la si credeva fonte di benessere individuale e collettivo, oggi si tende a credere che l’egoismo sia “normale”, e che la generosità sia un’ eccezione.
Un comportamento gentile viene guardato con sospetto. Oggi nulla ci offende di più che una gentilezza non ricevuta. Forse questo avviene perché la generosità ci attrae, ma allo stesso tempo la temiamo perché ci rende vulnerabili.
Spesso la si crede possibile solamente nel rapporto genitori-figli, anche se la società crea una eccessiva ansia e preoccupazione nei genitori che divengono fragili e spesso pensano di non essere abbastanza buoni con i propri figli. E questo spesso, porta il bambino oggi a correre il rischio di dover diventare il genitore dei suoi genitori,