Che futuro stiamo consegnando nelle mani dei nostri giovani? Un futuro incerto, con scarse prospettive non dico di successo, ma anche solo di sopravvivenza. Giovani che spesso hanno la sensazione di trovarsi davanti ad un baratro, dove la fragilità non è ammessa. Dove essi non perdonano a se stessi l’errore, la frustrazione di un insuccesso. Dove prevale la legge del più forte. Dove la debolezza diventa depressione. E’ per questo che il suicidio giovanile si conferma in Europa la seconda causa principale di morte tra gli adolescenti. Le cause alla base di questo estremo gesto autolesivo, tentato o riuscito, so le più varie: dal brutto voto a scuola alla delusione d’amore, dalla perdita di un affetto ad un fallimento, dal rimprovero dei genitori al rifiuto da parte del gruppo dei pari, dal bullismo all’omofobia, dallo stalking e dal mobbing della classe all’autosvalutazione.
Come si può fare prevenzione? Ce lo chiediamo noi esperti del settore, ma dovrebbe essere un pò per tutti una priorità assoluta. Sicuramente non facile per nessuno, visto che non è possibile individuare una o poche cause alla base del fenomeno e visto che tali cause spesso si intrecciano tra di loro o diventano migranti. Se pensiamo anche alle morti per incidenti stradali, molti sono causati dall’alta velocità, che rappresenta una sfida alla vita. La vita vissuta come sfida.
I suicidi dimostrativi, quelli che di solito rimangono tentati suicidi, sono quelli in cui è ravvisabile una sfasatura oggettiva tra volontà suicidaria o pseudo suicidaria e mezzi messi in atto per realizzarla. Bere un pò di bagnosciuma o ingerire qualche compressa di aspirina e poi chiamare i soccorsi, oppure farlo quando si sa di non essere da soli, rappresenta un modo per attrarre l’attenzione. Anche se può accadere che un tentato suicidio per un tragico errore evolva in un grave rischio per la vita.
I suicidi veri sono quelli che vengono messi in atto con mezzi decisamente più cruenti: per precipitazione o impiccagione, nei quali non c’è dubbio sulla chiara volontà di autodistruzione. Qui essere salvati, a volte, è proprio solo casuale. Il suicidio assume, e non solo nei giovani, una chiara valenza aggressiva. Quella aggressività che non può essere diretta all’esterno, diviene autoaggressività, volta comunque a lanciare un messaggio chiaro o a lasciare un chiaro segno nell’altro della propria rabbia. La prevenzione deve essere rivolta all’ambiente familiare, laddove sarebbe utile individuare particolari segni di fragilità o di conflittualità che possono divenire intollerabili ( che può competere a familiari e ad amici) e fare diagnosi precoce di disturbi dell’umore sul versante depressivo o bipolare ( che compete agli specialisti). La morte non fa paura ai giovani, ma questo non è caratteristico solo degli ultimi anni: la paura della morte è stata da sempre più labile nei giovani che nell’età matura della vita.
La morte sembra, per lo più, un’eventualità assurda ed estranea e l’assunzione di comportamenti a rischio, rappresenterebbero quasi una sorta di protezione verso il rischio di morte vissuto come astratto.
Ma la mancanza di un sistema di valori più sicuro rappresenta spesso il motivo per cui si ritiene che la vita non sia degna di essere vissuta.
In questo senso la scuola diventa una sorta di banco di prova della vita del giovane, ma rappresenta anche uno dei luoghi migliori per fare prevenzione. Dunque, cercare di porre attenzione a cali del rendimento scolastico, al ritiro sociale, al cogliere verbalizzazioni di idee bizzarre o con contenuti autodistruttivi. Oscillazioni dell’umore ad insorgenza improvvisa possono anche destare preoccupazione ed andrebbero segnalate perchè meritano approfondimento clinico.
Non è facile per la famiglia tornare ad occuparsi di un ragazzo che abbia tentato il suicidio.
La collaborazione con lo specialista è fondamentale, pur nell’ottica di evitare la stigmatizzazione, che attribuisca al ragazzo il ruolo inesorabile di malato.
Purtroppo possono anche innescarsi in alcuni ambienti “epidemie suicidarie” per meccanismi di natura imitativa che possono portare alla identificazione con le parti patologiche di sé.
La prevenzione si basa, in questo senso, anche sulla promozione di una cultura che esalti l’importanza della vita, anche quando la sua negazione potrebbe sembrare che conduca alla negazione dello stress e dell’angoscia, vissuti come intollerabili.
Insegnare a gestire le proprie emozioni non è né facile né immediato, ma sicuramente un primo passo può essere nell’imparare a verbalizzarle e ad esprimerle e a chiedere aiuto in caso di malessere. Le emozioni negative che rimangono dentro, attraverso un meccanismo di “implosione”, quando “esplodono”, spesso lo fanno nel peggiore dei modi.