La Neuroestetica. Nuove prospettive del bello

Se nell’estetica tradizionale si fa sempre riferimento al processo affettivo e psicologico che scaturisce nell’incontro con l’oggetto, la neuroestetica sostiene che nella percezione intervengano processi meccanici di memorizzazione e che, probabilmente, la risonanza emozionale prodotta dall’oggetto osservato è il risultato di processi “costanti” presenti nel nostro cervello.
I segnali sensoriali non sono adatti ad ottenere delle percezioni certe, ma per vedere gli oggetti è necessario che il cervello elabori una serie di congetture.

Aveva ragione Platone che esaltava la bellezza e condannava l’arte, in quanto copia del mondo sensibile, a sua volta copia dell’Iperuranio e quindi lontana dalla verità?
Kant ed Hegel invece avevano esaltato il compito dell’arte dando nella loro dottrina una maggiore importanza a quanto compie il cervello: l’arte è capace di rappresentare la realtà meglio delle sensazioni effimere soggette a continui mutamenti.
Hegel nella sua Estetica del 1842 sosteneva che l’idea derivante dal concetto ha la peculiarità di elevarsi al di sopra di ogni dato sensibile.
Ancora, Freud aveva posto le basi per lo studio dell’artista e della sua personalità nella sua psicoanalisi dell’arte.
Con il suo saggio su Leonardo da Vinci del 1910 si è occupato di arte utilizzando gli stessi strumenti della sua pratica clinica, i lapsus, i sogni, le libere associazioni, per indagare in profondità la personalità artistica di Leonardo e per studiare il contenuto psicologico dell’opera, convinto che l’arte serva a liberare l’uomo dalle tensioni del suo inconscio.
Gli psicologi della Gestalt invece hanno focalizzato la loro analisi non sul contenuto ma sulla percezione, indagando le qualità formali delle immagini ed intuendo che gli stimoli esterni colpiscono la retina creando una percezione visiva netta: dietro all’occhio ci sarebbe una organizzazione che trasforma immagini dai bordi indefiniti in oggetti chiaramente definibili.

In un’ottica neurobiologica, innumerevoli sono le registrazioni visive immagazzinate nel cervello: si tratta di immagini mnemoniche selezionate in modo da poter estrarre le caratteristiche essenziali degli oggetti e le loro costanti.
Infatti, lo sviluppo delle tecniche di brain imaging, come la PET, la SPECT e la risonanza magnetica funzionale, hanno consentito la rilevazione in vivo della funzioni cerebrali permettendo l’identificazione in parte anche di quei circuiti coinvolti a livello neurale nell’apprezzamento estetico. Tali circuiti sono costanti e invarianti da uomo a uomo: quando il cervello giudica un’opera bella, si attivano aree identificabili in base al maggior apporto di ossigeno e glucosio, che renderebbero di sicuro scientificamente l’idea più delle parole e delle definizioni.
La neuroestetica è una nuova disciplina che prende l’ avvio dall’estetica tradizionale ma che nasce dalla sinergia tra le discipline artistiche e le neuroscienze.
Nel 1994 un artista, Mathew Lamb, ed un professore di neurobiologia, Semir Zeki, firmavano insieme l’articolo The Neurology of Kinetic Art sulla rivista di neurologia Brain, tenendo a battesimo la neonata disciplina, che si dedicava allo studio dell’organizzazione del cervello visivo.
Semir Zeki ha condotto la maggior parte delle sue ricerche sul mondo delle immagini, convinto che anche attraverso l’opera d’arte si possa indagare il meccanismo di percezione e cognizione dell’uomo.
L’opera d’arte, in questo senso, sarebbe una sorta di test fisiologico e comportamentale da sottoporre al paziente-osservatore col fine di comprendere quali sono i meccanismi biologici che sono alla base delle emozioni e dell’apprezzamento estetico e la neuroestetica propone l’indagine dei meccanismi percettivi alla base della visione, dimostrando il modo in cui l’oggetto stimola il cervello visivo.
Viene spontaneo chiedersi cosa succeda a livello cerebrale quando osserviamo un dipinto o quando un’opera d’arte stimoli in noi diverse sensazioni.
Gli artisti sono in un certo senso dei neurologi che studiano le capacità del cervello visivo con tecniche peculiari.
La neuroestetica, inoltre, esamina le relazioni fra le aree specializzate della corteccia visiva e la percezione di forme, colori e movimenti, sviluppando le intuizioni della Gestalt.
L’idea sarebbe che l’arte potrebbe rappresentare un’estensione del cervello visivo, tramite un processo di astrazione e generalizzazione: molto stretta è l’analogia tra il mondo dell’arte contemporanea e la fisiologia delle cellule cerebrali riguardo alla visione.
Il dipinto di un oggetto, ad esempio, rappresenta tutte le caratteristiche comuni a quell’oggetto e ne costituisce la realtà perché si pone come universale sopra ogni particolare. Gli artisti sono, dunque, sempre impegnati nella ricerca dell’essenziale, della essenza di una forma, la cosiddetta “costanza di forma”. Lo scopo dell’arte non è di rappresentazione descrittiva ma ricerca di emozione tramite l’essenzialità dell’oggetto raffigurato.
Allo stesso modo, molte aree della corteccia visiva si attivano in modo identico in tutti gli uomini quando sono posti di fronte allo stesso oggetto.
Allora conoscere i meccanismi che permettono di apprezzare l’arte, studiare la natura dell’esperienza estetica può aiutare a conoscere i meccanismi della percezione e le strategie che il cervello usa nell’affrontare gli stimoli esterni.
Esattamente come fa il cervello, l’artista seleziona gli attributi essenziali della realtà e li conferisce alla sua opera.
L’opera d’arte nel momento in cui viene contemplata, viene percepita, riconosciuta e analizzata dapprima nelle sue caratteristiche strutturali e solo poi scaturisce la risposta emotiva.
Ecco perchè psicologi e neurobiologi parlano di “costanza” in relazione alla visione dei colori, delle forme e delle linee. Il professor Zeki sostiene che: “l’informazione che ci giunge non è mai costante. Il cervello deve quindi avere qualche meccanismo per scartare i continui mutamenti ed estrarre dalle informazioni che ci raggiungono soltanto ciò che è necessario per ottenere conoscenza delle proprietà durevoli delle superfici”. Insomma una “estetica neuronale”.
A questo principio si associa una legge di astrazione, il processo con cui il cervello predilige il generale al particolare e conduce alla realizzazione dei concetti da manifestare nell’opera d’arte.
Tuttavia, la neuroestetica ha suscitato alcuni dubbi, tanto qualcuno ha parlato di “neuromania” che ha posto l’importanza della personalità artistica al servigio della tendenza a ridurre l’uomo esclusivamente alle sue doti neuronali e l’arte ad una elaborazione visiva.

Riferimenti bibliografici
Semir Zeki, La visione dall’interno. Arte e cervello. Universale Bollati Boringhieri, Torino 2003

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