Sorta nella Magna Grecia quasi contemporaneamente alla scuola di Mileto, ebbe il suo fondatore in Pitagora, nato a Samo intorno al 570. Sembra che egli avesse viaggiato molto in Egitto prima di approdare a Crotone dove riunì un gruppo di persone, una vera e propria “setta” di ispirazione mistico-religiosa, in cui sono evidenti dei tratti dell’Orfismo, una dottrina che garantiva ai suoi adepti l’immortalità dell’anima. La fama di Pitagora attrasse allievi da ogni parte della Magna Grecia e la scuola era organizzata in modo gerarchico, basandosi sull’apprendimento della dottrina del maestro, che comportava vari gradi di purificazione spirituale. La scienza che veniva impartita era caratterizzata dalla dottrina del numero e dei rapporti quantitativi tra le figure. Pitagora, infatti, sarebbe stato l’inventore del celebre teorema, ma gli erano state attribuite anche capacità soprannaturali di guaritore o taumaturgo o di profeta. Non si sa molto, in realtà, della dottrina che veniva impartita, perchè anche gli allievi dovevano conservare il più assoluto segreto. La tesi più conosciuta è quella della metempsicosi o trasmigrazione delle anime dopo la morte e della loro reincarnazione in altri corpi, fino alla totale liberazione, grazie alle pratiche purificatrici. Questa è una tesi tipica dell’Orfismo. Secondo i Pitagorici nel numero era il principio o arché che, più degli elementi naturali, acqua o fuoco, può spiegare le trasformazioni della natura e l’essenza delle cose. Nulla può essere concepito senza il numero, che racchiude in sé saggezza ed armonia. L’unità era considerata un’entità discreta e reale ( raffigurata con una pietruzza), per cui la serie dei numeri si formava dalla combinazione di unità concrete. Se il numero è l’essenza delle cose, le proprietà numeriche sono anche proprietà delle cose, come l’opposizione tra pari e dispari, uno e molteplice, limitato e illimitato. Il dispari era considerato numero o figura perfetta ed era ricondotto alla figura maschile, mentre il pari, imperfetto, a quella femminile. Numero perfetto era il dieci, raffigurato da un triangolo con quattro pietruzze per lato e comprendente l’unità ( il parimpari, che è sia pari che dispari) e i primi tre numeri della serie con le loro fondamentali virtù. I Pitagorici non conoscevano lo zero: con le pietruzze è impossibile rappresentarlo.
L’ uno è quindi una entità indivisibile, rispetto alla quale nulla è antecedente ed è la sorgente da cui nascono tutti gli altri numeri.
