L’ambiguità in campo lessicale è la possibilità di attribuire più di un significato ad uno stesso termine. Dunque una mancanza di chiarezza nelle espressioni verbali o scritte, ma con la possibilità di chiarire, che è sempre possibile, approfondendo una lingua.
Normalmente siano abituati a pensare secondo il principio che ci sia un rapporto univoco tra percezione e conoscenza, cioè che le cose e le persone, siano quello che sembrano.
Ambiguo è tutto ciò che può venire inteso in vari modi o prestarsi a diverse interpretazioni, dando origine a dubbi, incertezze o confusione. Dunque il punto di vista privilegiato è quello dell’osservatore che percepisce l’ambiguità. Ma il soggetto che manifesta l’ambiguità non ha alcun dubbio né confusione.
L’ambiguità nei rapporti interpersonali è ben diversa, dunque, da quella lessicale. Rappresenta, infatti, una strategia od un insieme di dinamiche che vengono messe in opera da qualcuno che, strategicamente appunto, non solo non vuole fare chiarezza, ma “intenzionalmente” tende ad ingannare. Si tratta di “personalità ambigue” o “soggetti in malafede”, tendenti a mascherare una impotenza affettiva che cerca la sua potenza nello spiazzare l’altro, nel renderlo emotivamente più fragile. Si attivano, in questo modo, delle proiezioni idealizzanti da parte del partner che però, purtroppo, non hanno nulla di reale. In un ambito di completa con-fusione si destabilizza il partner che, allorquando chiede chiarimenti all’ambiguo ne riceve solo ulteriori ambiguità e destabilizzazioni. Nulla può essere chiarito, pena la fuga dell’ambiguo, o la distruzione della relazione. In realtà si assiste poche volte ad un meccanismo di fuga poiché solitamente l’ambiguo sceglie le sue “vittime”.
Si tratta di soggetti emotivamente fragili, bisognosi di affetto, che si accontentano di poco, che sanno farsi bastare il nulla e che, solitamente, non chiedono, perché hanno paura di sapere e di scoprire.
Oppure che tendono a fidarsi in modo ingenuo. E che, pertanto, vedono ( o vogliono vedere) chiaro anche laddove vi sia ambiguità.
L’ambiguità è caratteristica di soggetti del tutto “normali, dei più comuni disturbi di personalità ( tanti fra noi), per non andare necessariamente a scomodare le patologie psichiatriche maggiori, le patologie del falso sé, la patologia schizoide e quella paranoide.
Sul piano psicologico e interpersonale il problema posto dal comportamento ambiguo di una persona, è che esso va a collocarsi nella dimensione intermedia tra la fiducia nell’apparenza e la certezza dell’illusione e dell’inganno.
Avere la “certezza” di potersi fidare o di essere ingannati da un partner consente di prendere le adeguate contromisure, ma l’ambiguità costringe ad oscillare tra aspettative positive o negative: l’ambiguità genera necessariamente ambivalenza.
L’ambiguità di una persona alla quale si è legati da un legame affettivo importante suscita un’indeterminatezza ansiosa intensa, accompagnata da dubbi che necessiterebbero di essere dissolti ma non possono esserlo.
Allorquando, infatti, viene chiesta chiarezza, ai dubbi viene risposto con affermazioni altrettanto dubbie e mutevoli, cangianti come i colori della primavera ma per nulla vestiti della loro piacevolezza.
Una sorta di maschera che implica l’assenza o la dissimulazione di sentimenti autentici e profondi, oppure la coesistenza di sentimenti relazionali ambivalenti, correlati al senso di inferiorità dilagante nel proprio Sé che fa leva sull’altro per rendersi superiore.
L’ambiguo non può, per sua natura, essere governato da sentimenti profondi e stabili ma da oscillazioni frammentate perché legate invariabilmente alla sensazione di gratificazione e di protezione che in un dato momento una certa situazione o relazione può dargli. Anche se non è propriamente un soggetto “interessato” (cioè mosso da motivi di pura convenienza materiale) si dirige verso relazioni che lo rassicurano e non gli richiedono di mettere in gioco le sue carenti capacità affettive ed identitarie.
L’ambiguo, banalmente, è un individuo “profondamente superficiale”.
La seduttività è una componente essenziale delle personalità ambigue, che sanno perfettamente ciò che l’altro si attende da loro e dunque sono capaci di plasmarsi camaleonticamente sulle esigenze altrui, dando vita a relazioni apparentemente perfette, confidenziali (a senso unico), suscitando nell’altro il desiderio di raccontarsi, senza farlo mai loro stesse.
Non si può, d’altronde, affermare che questi soggetti “mentano” consapevolmente. Se mentissero, non sarebbero “ambigui”, ma”psicopatici” che attiverebbero i loro nuclei ambigui per una precisa finalità (un “interesse”).
Per quanto concerne le relazioni interpersonali più profonde, come farsi una famiglia ed avere dei figli, di fatto, seppure a fatica, sono compiti che l’ambiguo tende a portare a termine per darsi una parvenza di normalità, di cui deve dimostrarsi capace. Ma la “fedeltà” giurata è un’altra faccenda.
Inoltre, come per loro è difficile contrarre un “legame”, allo stesso modo è difficile separarsi da un partner. Difficilmente l’ambiguo lo fa, ma se è l’altro a farlo, egli si chiede come mai non sia possibile conservare “buoni” rapporti.
Il loro stile non è mentire ma omettere, ecco perché lasciano sempre il dubbio sulla loro sincerità e, trincerandosi dietro una sorta di fastidio di fronte ad ogni richiesta di chiarimenti, espresso dalla classica interrogazione :” Come mai non ti fidi?”, danno l’impressione di una pura esigenza di riservatezza.
Insomma, proprio dei bei “tipi”.
Chiunque abbia incontrato un soggetto ambiguo nella propria vita, ne conserverà, invariabilmente, al di là dei singoli tratti personologici, una memoria indelebile.