La scuola di Elea. Parte prima.

Questa scuola che prende il nome da una colonia greca situata sulla costa della Campania, fu fondata secondo alcuni da Senofane, secondo altri da Parmenide, seguito da Zenone e da Melisso. Gli eleati subirono l’influenza dei pitagorici e a loro volta influirono su tutto il pensiero greco successivo. Senofane di Colofone ( 580), dopo essere fuggito dalla patria a causa della occupazione persiana, viaggiò moltissimo, andando in Sicilia e ad Elea, dove, secondo alcuni ebbe Parmenide come discepolo, secondo altri le cose andarono esattamente al contrario. Senofane fu soprattutto un poeta a sfondo morale e religioso. Egli critica la religione olimpica dei greci, il suo politeismo e l’antropomorfismo. A causa di Omero ed Esiodo sono state diffuse tra i greci un mucchio di superstizioni e la falsa idea che gli dei abbiano voce, corpo, passioni simili agli uomini. Essi hanno oltretutto empiamente attribuito agli dei delitti, infamie e violenze. A tutto ciò Senofane oppone l’intuizione religiosa che il dio che governa tutte le cose è unico, egli le governa con le forze della mente e del pensiero, senza servirsi di mani o di altri strumenti materiali. Questo dio, eterno ed immobile, si identifica con l’intero universo, è un “uno-tutto”.
Parmenide nacque ad Elea verso il 515 ( secondo Platone) o, più probabilmente, una ventina d’anni prima. Probabilmente fu allievo dei pitagorici, per poi insegnare una dottrina autonoma che espose in “Sulla natura”. Il proemio del poema descrive l’autore condotto su un cocchio dalle figlie del Sole, fino al cospetto della dea che guida il saggio alla rivelazione della verità. La dea espone sia la verità, sia l’opinione comune dei mortali in cui tutto è illusione ed errore. Alla distinzione tra verità e opinione Parmenide fa corrispondere due diverse e distinte facoltà umane: il pensare ed il sentire, distinzioni che resteranno costanti in tutto il pensiero greco e nella tradizione occidentale. Parmenide sostiene però la superiorità del pensiero: solo il pensiero può conoscere “ciò che è”. La sensazione, invece, è sempre mutevole ed incerta , dice e si contraddice, presenta un miscuglio incomprensibile di essere e non essere: i mortali, se seguono i sensi, sembrano possedere una “doppia testa”, una che dice di sì e l’altra che dice di no. Secondo il pensiero, invece, l’essere è e non può non essere. Parmenide pone, quindi, il problema dell’essere e del suo rapporto col pensare, principio e fondamento della filosofia. Ponendo tale problema Parmenide taglia la strada alla precedente ricerca sull’arché: prima di stabilire quale sia l’arché, bisogna ammettere che il principio non può né venire meno né mutare: deve anzitutto essere ed è in base a tale carattere che deve venire pensato. Solo il pensiero può cogliere l’essere: tra essere e pensiero si stabilisce una relazione indissolubile. essere e pensare sono la stessa cosa. Bisogna ammettere che l’essere è ingenerato e imperituro, cioè eterno e che è uno, ossia unico, immobile e compatto, cioè privo di parti, simile alla massa di una perfetta sfera, di eguale forza dal centro in tutte le direzioni. Con questa teoria Parmenide si poneva contro ogni convinzione del senso comune: ciò è mera opinione ed illusione dei sensi.

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