La”filosofia del linguaggio”, ha carattere “di frontiera” , al confinane, cioè con tutte le branche della filosofia e con una molteplicità di saperi scientifici particolari. Potremmo dire, infatti, che non ci sia attività umana che non sia interessata dalla e alla riflessione più o meno filosofica sulla natura del linguaggio, dalla logica alla metafisica e alla ontologia alla epistemologia,, alla gnoseologia, alla psicologia intesa come scienza sperimentale, alla riflessione sull’uomo in generale e nelle sue manifestazioni . Appare necessario mettere in rilievo quanto il linguaggio sia connesso ed integrato in ogni attività umana: strettissimo è il rapporto che lega la parola al pensiero ed alla elaborazione teorica così come evidente è il rapporto che lo lega al nostro agire pratico. Il linguaggio, inoltre, non dimentichiamolo, veicola valori. il primo principio della scienza della comunicazione asserisce che non si può non comunicare e che ogni nostro atto ha un valore comunicativo a prescindere dalle nostre intenzioni.
Appare importante e forse non superfluo ricordare che non si intende parlare esclusivamente del linguaggio verbale ma di qualsiasi forma di comunicazione all’interno della quale è possibile ritrovare strumenti per la produzione dell’atto comunicativo.
La filosofia del linguaggio si interroga sulla “natura” e sulla funzione del linguaggio, la linguistica privilegia l’esame dei meccanismi interni alla lingua con un discorso più tecnico.
Ferdinando De Saussure ha impresso una svolta profonda alla riflessione filosofica sul linguaggio con la dicotomia “langue” e “parole”.
Con “langue” si indica il complesso delle regole e degli elementi che caratterizzano una lingua strutturalmente intesa, in un preciso stato della sua storia evolutiva.
La langue risulta essere il prodotto di un’evoluzione storico sociale e chi parla è necessario che la rispetti se intende comunicare in modo corretto.
La langue può essere usata in molti modi e contiene una pluralità di potenzialità che passano concretamente in atto grazie alla “parole” ovvero all’uso individuale di un prodotto sociale che, se condiviso, prefigura una nuova regola.
Chomsky si occupa sia di linguistica che di filosofia del linguaggio. Egli ha sentito il bisogno di “sconfinare” nella speculazione filosofica cercando di ipotizzare la presenza di una attività della “mente”, considerata come colei che sorregge e presiede alla produzione delle lingue naturali.
A questo proposito, da medico, mi sovvengono le “afasie “in particolare quella del Wernicke” (dal suo scopritore) che è oggetto di riflessione tanto per i cultori di linguistica quanto per i filosofi del linguaggio. Tale perdita del linguaggio procede a ritroso aggredendo prima le funzioni linguistiche più complesse e poi quelle più semplici. Chi è affetto da tale afasia, infatti, pur continuando a parlare fluentemente comincia a non comprendere più il significato degli avverbi, poi dei verbi ed infine procedere con la stessa logica distruttiva nei confronti di aggettivi e nomi. La logica dell’apprendimento di un linguaggio.
Democrito di Abdera può essere considerato il primo filosofo che abbia riflettuto sul linguaggio con una certa sistematicità. Dalla constatazione che la lingua appare attraversata da omonimie e sinonimie e da altri fenomeni di “ambiguità semantica”, egli ricavava una concezione del linguaggio di tipo “convenzionalistico”. Qualche riflessione sul linguaggio è ricavabile anche nel pensiero di Parmenide di Elea, l’iniziatore della ontologia.
La riflessione filosofica sul linguaggio esplode con l’affermarsi della sofistica. La vita mentale è originata e “indotta” dalle esperienze individuali e sensibili diverse da soggetto a soggetto. In questa prospettiva non esistere più un unico linguaggio ma una pluralità di linguaggi .
Il dato proposto dalla sofistica è da ricondurre alla provocazione di Gorgia da Lentini, che con le sue celeberrime affermazioni operava quella che potremmo definire una “disarticolazione del logos”. Realtà, pensiero e linguaggio venivano posti su piani diversi la cui osmosi e comunicazione non poteva certo essere dimostrata e l’unico dato autenticamente “reale” era la parola con tutta la pericolosità della sua forza persuasiva, in modo potremmo dire “eversivo” rispetto al concetto di logos . Socrate, dal canto suo, coglie quanto la parola possa irrigidire il linguaggio e da ciò la scelta della “oralità”.
Per Platone, va valutata non tanto l’esposizione dialogica del suo pensiero, ma il mito. Platone cerca di usare “il linguaggio oltre il linguaggio” nel tentativo di dire ciò che per via ordinaria non può essere detto.
La “scrittura” platonica è dotata, però, di una “qualità” che la trasforma, in una “scrittura orale”,
Innegabile la centralità del linguaggio all’interno di ogni manifestazione umana e la funzione strategica che la filosofia del linguaggio ha sempre e storicamente assunto,
La riflessione sul linguaggio nel Medio Evo è molto stimolante ed in qualche modo prefigurante quasi le riflessioni moderne.
La filosofia medievale del linguaggio, però, risulta svincolata dalla metafisica e dalla ontologia ma intrecciata in modo con la logica, che si emanciperà dalla riflessione sul linguaggio solo in tempi recenti.
Nel pensiero moderno, poi, i paradossi medioevali non sono più tali, grazie ad una distinzione tra piani del linguaggio,
Essendo “di parte”, cito Freud che nella “Introduzione alla psicoanalisi”, riporta come Platone usasse dire che la differenza tra i buoni e i malvagi consiste nel fatto che i primi compiono azioni riprovevoli soltanto in sogno.
Il filosofo ateniese, cioè, aveva già perfettamente colto come attraverso l’attività onirica si manifestano elementi che rimangono confinati nella psiche.
Il principale merito freudiano, com’ è noto, consiste nell’avere sottolineato con grande forza tutta la centralità dell’inconscio fin quasi ad individuarlo come il grande artefice del nostro agire e del nostro sentire ma, nello stesso tempo, di averne teorizzato la decodificabilità.
L’inconscio, infatti, “parla” e si manifesta, , attraverso i lapsus e gli atti mancati, la somatizzazione di conflitti psichici profondi e, soprattutto, i sogni.
Potremmo dire non solo che l’inconscio ha un linguaggio, ma che esso stesso si struttura come un linguaggio, e questo è evidente se prendiamo in considerazione il suo celebre “parlare” dell’ inconscio attraverso i sogni.