“Dunque, mio ottimo amico, non dobbiamo affatto curarci di ciò che sul nostro conto dirà il mondo, ma di ciò che dirà chi s’intende del giusto e dell’ingiusto, questi solo e la verità stessa” (Critone, 48 a).
Socrate era un uomo libero come pochissimi lo sono. Dava scarsissima importanza agli oggetti dai quali la gente fa dipendere il proprio destino.
Non si piegò davanti alla forza delle cose immediate e al verdetto dei giudici, con il quale lo condannarono a morte. Egli viveva nella caverna degli schiavi, che, incatenati alle loro opinioni e ai loro pregiudizi, riducono la conoscenza ai ragionamenti che identificano con i calcoli, calcolando perfino l’uomo, come se fosse oggetto tra gli altri oggetti, ma, laddove non c’è la verità, non c’è neppure il bene. La forza diventa principio di soluzione delle controversie.
Colui che non conosce l’uomo, sa solo usarlo.
Essere competente riguardo all’uomo significa essere soggetto, soggetto che giudica, mentre gli oggetti, invece, sono giudicati.
La soggettività dell’uomo si esprime in questa competenza. Quindi, perché sia possibile essere soggetto, occorre che ci sia la verità dell’uomo. Senza la verità, infatti, non è possibile la competenza come tale.
Intendersi dell’uomo significa intendersi della verità che lo costituisce. In conseguenza, solo colui che diventa ciò che egli è, vale a dire solo colui che è soggetto, un essere libero, si intende dell’uomo.
“Conosci te stesso!” significa: diventa te stesso! Sii soggetto! Sii giudice! Giudice dei giudici!
Ma non è facile per l’uomo conoscere l’uomo.
Socrate ammetteva; “So di non sapere nulla”, ma desiderava conoscerlo. E questo desiderio doveva aver già un valore conoscitivo, perché Socrate era libero dalle opinioni sul problema dell’uomo; la libertà è dalla verità.
Chi desidera, cerca.
In Socrate, dopo che ebbe udito il responso dell’oracolo di Delfi, avvenne un cambiamento fondamentale. L’oracolo aveva detto che nessuno era più saggio di Socrate. Il filosofo di Atene si stupì, perché aveva la certezza di non saper nulla. Sapeva solo questo. Niente di più. Ma desiderava sapere molto di più.
Socrate poneva domande sulla verità e sul bene senza di cui l’uomo può essere tutto tranne se stesso e proprio a queste domande non sapeva dare risposte. Non sapeva cosa c’era dentro l’uomo. E solo questo sapere riteneva meritasse il titolo di saggezza. Così, indirettamente obbligato dall’oracolo, cominciò a visitare i suoi conoscenti invitando quanti pensavano di saper qualcosa a definire l’essenza di quelle cose la cui conoscenza costituisce la saggezza della persona umana. Ma gli “esperti” conoscevano soltanto ciò che essi stessi, come avrebbe detto Kant, avevano prodotto; conoscevano le proprie opinioni.
Ognuno di noi è il più saggio tra gli uomini, solo che sono pochi che rispondono con le domande socratiche a questo obbligo di diventare ciò che siamo. Infatti, pochi sono quelli che vogliono ascoltare la voce che sorge da dentro l’uomo.
Socrate vedeva l’insensatezza di sottomettersi alle opinioni. Non sottomettendosi ad esse, non essendo cioè schiavo, Socrate non si ribellava; egli non reagiva agli stimoli, ma conviveva con la realtà. Da libero.
Dunque, nessuno dei conoscenti sapeva chi è l’uomo; ma Socrate era il solo tra loro a sapere di non saperlo.
Ciò che il suo desiderio sapeva poteva venire espresso solo in domande.
Il vero filosofo pensa con l’aiuto di esse.
La sua “ignorantia” era “docta”.
Tanto più “docta” quanto più si rendeva chiaramente conto che l’uomo non si identifica con nessuna definizione umana.
Domandando così, preghiamo.
Porre simili domande significa ri-nascere; insegnare agli altri a porle significa aiutarli a loro volta a ri-nascere.
Ri-nasce solo chi pensa e pensa solo chi cerca quel Pensiero forte che è il Pensiero creatore.
La verità dell’uomo, di quella coincidentia oppositorum, la coincidenza di finito e infinito, può essere conosciuta solo in quanto è desiderata e cercata
Vivere nella verità è quello che ci insegna Socrate.