« Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum? »
Boezio, De consolatione philosophia
Il male non è lontano da noi, né noi riusciamo a tenerlo lontano.
La condizione umana è immersa nell’esperienza del male, che la permea in ogni sua cellula: morte, malattia, catastrofi naturali, guerre, ingiustizie, sofferenze, costituiscono, purtroppo, una costante dell’esperienza quotidiana.
La stessa riflessione filosofica nasce come messa in discussione dell’apparenza, del divenire e del male, al punto che Nietzsche, assume come atto di nascita della filosofia non lo stupore di fronte alle cose, secondo la classica tesi di Aristotele, ma lo stupore di fronte all’orrore dell’esistenza.
Ed oggi, purtroppo, si fa sempre più fatica a trovare la presenza del “buon demone” degli antichi qui, nelle nostre vite.
. La filosofia infatti, affrontando temi come la libertà, la felicità, la giustizia, l’essere, il logos e la razionalità, non può fare a meno di porsi anche il problema del male, visto, a seconda dei casi, come “non essere”, infelicità, ingiustizia, morte, disordine.
Nella narrazione mitica e religiosa il male è posto all’origine dell’essere e dell’esistenza, nella duplice immagine della nascita del mondo dal caos o della caduta dell’uomo per un atto di superbia e ribellione che corrompe un ordine armonico e buono e segna la nascita della storia come decadenza e prevalere del male.
L’ermeneutica del male è, allora, la necessità di render conto del male, dare di esso una interpretazione che consenta di comprenderlo per riuscire a dare un senso all’esistenza.
A Lisbona, a metà del XVIII secolo, si verificò un terribile terremoto cui seguirono un maremoto e l’incendio della città. Il disastro di Lisbona ebbe il potere di mettere in crisi il paradigma della natura come armonia divina che dominava nella mentalità comune ma, evidentemente, anche la teoria di Leibniz secondo cui il nostro sarebbe il migliore dei mondi possibili, un ottimismo in contrasto con l’esistenza del male nella forma delle catastrofi naturali.
Con Auschwitz, poi, entra in crisi qualsiasi ermeneutica del male elaborata nel corso della storia e tutte le precedenti concezioni ottimistiche della storia, dell’uomo e della razionalità, sono superate.
La tradizionale risposta al problema del male che ha caratterizzato la cultura occidentale è stata quella cristiana, e le soluzioni prospettate dal cristianesimo sono la nemesi divina
per cui il male è la vendetta con cui Dio punisce l’uomo per il male che ha compiuto e la teodicea, secondo cui il male, anche il più gratuito, ha un senso compiuto se inserito nell’economia del tutto: il tutto è bene, e il male perde la sua valenza di male se inserito in tale contesto. Comunque, in entrambi è messa in evidenza la possibilità di redenzione dal male dell’uomo e dell’essere: il male, seppure forte, non è destinato a trionfare ma ad essere sconfitto dal bene. La fine del mondo coincide con il successo finale del bene e l’instaurarsi del regno di Dio. Alla fine dei tempi i malvagi saranno castigati e i buoni premiati con la felicità eterna.
Il male e la sofferenza subiti dall’uomo nel corso della storia hanno così un senso: per il trionfo finale del bene è necessario l’esercizio della libertà.
Il male fisico è quello che caratterizza l’esistenza degli esseri viventi in quanto esseri naturali: la sofferenza fisica, la malattia, la vecchiaia, il dolore del corpo, è rilevabile anche come conseguenza di eventi che infliggono sofferenza come i disastri naturali.
Esso appare come qualcosa di ineluttabile che fa parte dell’esistenza, ma l’esistenza del male fisico risulta non giustificabile con l’argomento del libero arbitrio o della colpa poiché esso non è interpretabile come pena che viene inflitta in conseguenza di una colpa specifica imputabile alla responsabilità di chi ne è colpito. Esso infatti colpisce casualmente.
E il male psichico? Per quello si rimanda alla Psicologia.