Elogio dell’Ingenuità

Chi è “bravo” è sempre un po’ ingenuo. Lo sguardo è limpido, diretto, il sorriso colmo di onestà, l’atteggiamento è sempre pronto al conforto altrui, anche se il suo cuore può essere colmo di sofferenza. Per non essere stati capiti, per aver donato amore a piene mani e aver ricevuto odio o derisioni. Per sentirsi feriti e non aver mai neppure pensato di poter ferire. L’ingenuo non conosce desiderio di vendetta. L’ingenuo conosce l’amore. E prova amore nell’ammirare uno spettacolo della natura, come nello specchiarsi in un altro sorriso. L’ingenuo è colmo di meraviglia e di entusiasmo, anche se il suo cuore è triste.

Uno studio condotto dall’Università di Stanford ha dimostrato che la bontà viene percepita come un modo meraviglioso ed eccezionale di connettersi con gli altri.
Eppure, nonostante sia una caratteristica socialmente apprezzata, c’è chi vede in queste persone una opportunità, quella di manipolarle a proprio favore.

Non si tratta qui, ovviamente, di elogiare l’ingenuità idiota del principe di Dostoevskij a scapito della massima di Hobbes, “homo homini lupus” .
Vorrei riferirmi al tipo di ingenuità che è richiesta nell’amore il quale, per definizione, non può mai prescindere dalla fiducia.
La fiducia, infatti, implica sempre degli sforzi di conoscenza, di comprensione, di adattamento e non è mai del tutto acritica, idiota o passiva.

Le brave persone possono essere un po’ ingenue, ma tale ingenuità è sinonimo di nobiltà d’animo e non, come qualcuno ritiene, di stoltezza. Anche se apparirebbe sciocco che chi agisce sempre con il cuore, senza guardare al proprio tornaconto personale, non cambia con il tempo, non riesce a covare sentimenti di vendetta. Questo perché, anche se la mancanza di rispetto, le disillusioni e i tradimenti fanno male, nessuno può fuggire dalla sua identità, nessuno può rinunciare ad essere se stesso. Nonostante tutto.
Le brave persone sono autentiche, ed essere autentici significa essere se stessi, lasciarsi condurre, ovunque, dalla sincerità, senza finzioni, bugie, egoismi.
Non sarà un caso che ripensando al personaggio disneyano di Paperino, la nostra simpatia va a lui piuttosto che al fortunatissimo, Gastone Paperone.
A causa della sua ingenuità, e grazie ad essa, Paperino è sempre ad affannarsi contro le avversità e le varie trappole che la vita gli tende, ma è amato, nelle sue peripezie, dai nipotini e della fidanzata Paperina che parteggia sempre per lui.

L’Università di Psicologia di Stanford ci parla di “compassione”, che si connette con la parte più intima delle nostre emozioni, fino a coinvolgere quella parte del cervello sociale in cui risiede l’interesse e la preoccupazione per gli altri. Mutuata dal latino “cumpatior” ( soffrire assieme), la compassione rappresenta una risposta emotiva alla sofferenza altrui, un autentico desiderio di aiutare gli altri, senza ottenerne ricompense o benefici.
Una caratteristica meravigliosa che sarebbe innata negli esseri umani ed in molti animali, e che poi l’adulto per lo più dimentica. Quando un bambino, specie se molto piccolo, vede un altro bambino che piange, il suo ritmo cardiaco aumenta e le sue pupille si dilatano.
Quando il secondo bambino smette di piangere, anche l’altro si tranquillizza.
Il mantenimento delle caratteristiche etimologiche della ingenuità sembra conferire alla persona uno sguardo puro, innocente, che sa meravigliarsi ed entusiasmarsi (en-theòs, “il dio dentro”).
Via via che cresciamo, e a causa dell’influenza di certi contesti, la compassione scompare o si affievolisce. Fino al punto che, a volte, chi vede praticare atti compassionevoli, li ironizza o li disprezza.
Non pentiamoci mai di essere brave persone, anche se non riceveremo bontà, pur avendola distribuita. Male che vada, come sostiene il neuroscienziato Jordan Grafman, del National Institutes of Health, agire con compassione ed altruismo apporta a sé ( e non solo agli altri) benefici sorprendenti anche per il nostro cervello, grazie alla produzione di endorfine.

Anche il filosofo  Kierkegaard considerava un segnale di imbarbarimento della società moderna la perdita di questo tipo di sguardo. L’età moderna, scriveva, manca di ingenuità, il che non è segno di maturità.
Ma noi non permettiamo alle disillusioni e alle delusioni di spegnere la luce del nostro cuore!
Se il cerbiatto, mentre il lupo lo sovrasta, sentendosi vinto, gli offre il collo, probabilmente scamperà al suo morso e avrà salva la vita.

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