Giustizia ed Equità in Aristotele

Nel mondo odierno si ha la sensazione, sempre più “pressante” di vivere in una realtà che è fatta di doveri, che giudica di continuo ciò che facciamo.
Che ci “spia” ed alla quale dobbiamo continuamente rendere conto.
Ciò allenta, inevitabilmente i rapporti con i nostri simili: per giudicare ( ed essere, inevitabilmente,a nostra volta giudicati), è necessaria una certa distanza emotiva dall’altro che viene preso in esame. Oggi si vive nel timore che l’altro ci possa prevaricare, utilizzare ed, in ultima analisi, “condannare”.
E’ diventato, quindi, sempre più difficile fidarsi dell’altro ed affidarsi all’altro. Aprirsi ad un altro uomo mette in vista le nostre vulnerabilità, rischia di esporci e di ritrovarci fragili, troppo vulnerabili ad una possibile ferita.
Ma cosa è la giustizia? Letteralmente, un insieme di norme da rispettare ed applicare.
La società classica, greca prima, e romana poi, ci ha lasciato tantissime riflessioni sul ruolo e lo statuto della giustizia.
Uno dei contributi più fecondi e affascinanti è l’Etica Nicomachea di Aristotele, una raccolta delle lezioni del filosofo, in dieci libri, uno per tematica, che riassume tutti gli insegnamenti del discorso morale.
Il libro V è quello che parla proprio della giustizia.
La giustizia sarebbe uno stato abituale che si oppone all’ingiustizia come illecito e come disonesto; questa virtù sarebbe la più elevata, in quanto si realizza in relazione con gli altri (non posso, infatti, essere giusto da solo).
Aristotele elenca vari tipi di giustizia, quella che ripartisce i beni tra i membri delle comunità, quella che tutela le relazioni sociali, quella che legittima il contraccambio.
Allora, il giusto corrisponde all’uguale,
E’ anche possibile riflettere sul livello di giustizia o ingiustizia delle azioni e dei soggetti, a partire dal grado di volontarietà delle azioni compiute.
Ma la parte più interessante del contributo aristotelico, la ritroviamo nelle ultime pagine del libro, quando lo stagirita ci parla di “equità”e del rapporto tra giustizia ed equità:
«In effetti l’equità, pur essendo migliore rispetto ad un certo tipo di giusto, è giusta, e non è “migliore” del giusto nel senso che appartiene ad un altro genere rispetto ad esso. Quindi ciò che è giusto e ciò che è equo sono la stessa cosa e, pur costituendo entrambe realtà eccellenti, l’equità è superiore».
Se c’è qualcosa che supera la giustizia, allora c’è qualcosa di superiore al rispettare le leggi; non basta fare il nostro dovere, dobbiamo e possiamo fare di più.
«Ogni legge è universale, ma su certe questioni non è possibile pronunciarsi correttamente in forma universale. […] Quindi, quando […] accade qualcosa che va contro l’universale, è legittimo colmare la lacuna. […] Perciò l’equità è giusta, ed è migliore di un certo tipo di giusto, anche se non del giusto in assoluto, ma del giusto che è difettoso per il fatto di essere stato formulato in generale. E la natura dell’equità è proprio quella di correggere la legge laddove essa, a causa della sua formulazione universale, è difettosa».
Allora la giustizia è insieme forte e debole, perchè mette insieme regole che valgono in senso generale, ma può mostrare una défaillance se applicata al particolare o, ancora, può condurre ad errore in alcune situazioni.
Che fare della legge, quando le due madri si presentano al re Salomone rivendicando lo stesso figlio?
Molto meglio, allora l’equità, più flessibile ed adattabile alle situazioni, equità che esuli da una rigidità dove tutto è bianco o nero, e lasci spazio alla possibilità di bianco e nero.
L’equità, che si discosta dalle norme rigide è quella che, prescindendo dal giudizio dell’altro, lascia spazio al perdono.

Bibliografia
A. FERMANI, Le tre etiche, Bompiani, Milano 2008.

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