Sul Pudore

Cosa è il pudore? Studi filosofici e psicologici sostengono che si tratti di un comportamento. Umberto Galimberti, nella sua “Enciclopedia della Psicologia” ritiene che sia una tendenza : “A conservare il possesso della propria intimità difendendola dalla possibile intrusione dell’altro”.
Dunque, il pudore avrebbe a che fare con la “relazione” con se stessi e con gli altri. Che abbia a che fare con gli altri è di immediata comprensione, ma il pudore nella relazione con sé, ha a che vedere, direi, con l’indicibile.
Aristotele aveva definito il pudore una “virtù morale” e come tale deve rapportarsi alla “passione”. Il pudore “amministra” la passione e come tale diventa passione, nella abituale assimilazione aristotelica dell’ “et et”, piuttosto che dell’ “aut aut”. Il pudico è colui che si preoccupa delle opinioni altrui, ma non di tutte, solo di quelle che contano. Quindi una relazionalità “timorosa” sì, con l’esterno, ma selettiva, a metà strada tra sfrontatezza e timidezza che sono, invece, dei vizi. La guida in tutto questo è la saggezza.
Per Hegel “il pudore è l’inizio dell’ira contro qualche cosa che non deve essere. L’uomo che diventa cosciente della sua destinazione superiore, della sua essenza spirituale, non può non considerare inadeguato quel che è solo animalesco, e non può non sforzarsi di nascondere quelle parti del proprio corpo che servono solo a funzioni animali, e non hanno né una diretta determinazione spirituale, né una espressione spirituale” .
Sartre collega il pudore alla vergogna, che trova nello sguardo il suo strumento di comunicazione. Comunicazione che il soggetto guardato vorrebbe interrompere in quanto la avverte come una minaccia, una intrusione nel proprio sé. In altre parole, la “soggettività”, l’intimità di chi è guardato scadrebbe, proprio sotto l’effetto dello sguardo dell’altro, ad una mera oggettività: egli diventerebbe un oggetto in balia dell’altro e dunque si verrebbe a trovare in una posizione guardinga, di dover prendere le difese di sé, per non diventare indifeso. Difesa della propria individualità.
E’ questa la tesi che Monique Selz, psicoanalista e psichiatra francese, sostiene nel suo “ Il pudore. Un luogo di libertà”.
In una società come la nostra in cui il bisogno di possesso di beni materiali, tutto viene messo in movimento per stimolare il desiderio di possesso e di consumo, laddove l’intimità del singolo viene trascurata e spesso calpestata.
Il pudore sarebbe una delle garanzie che noi abbiamo di libertà nei confronti dell’”altro” che con il suo “sguardo” ci forza in continuazione. Noi dobbiamo difenderci, difendere la nostra intimità. E per fare questo occorre la temperanza, come la intendevano i Greci, ovvero “padronanza di sé”.
Il pudore ha anche la capacità di renderci unici per l’altro che si relaziona con noi, ha la caratteristica di garantire la nostra individualità rispetto all’alterità, come accade in una relazione di coppia in cui dirsi tutto, andando oltre i confini della nostra ipseità spesso è causa di dolore e crisi.
Quindi, aprirsi all’altro, pur rimanendo noi stessi.
Ancora, la Selz ritiene che: “Dal cogito cartesiano, e poi attraverso differenti tradizioni filosofiche (Kant, Husserl, Scheler, Heidegger, Sartre…) fino alla recente attualità (con Levinas e Ricoeur tra gli altri), abbiamo assistito all’emergere di ciò che può essere definito un luogo proprio a se stessi, quello della intimità, mentre si andava scavando uno spazio di discontinuità tra se stessi e l’altro, che è appunto quello dove noi possiamo pensare che abbia sede il pudore”.
Il pudore, allora, come mezzo tra l’Io e il Tu.
Il pudore è tanto la nostra intimità quanto il modo di dire la nostra intimità all’altro.
“L’amore è possibile solo se chi ama e chi è amato sono distinti l’uno dall’altro e dunque separati”.
Lo spazio di questa separazione è garantito dal pudore.
Quindi, fare del piacere dell’altro il proprio piacere, fare della soddisfazione dell’altro la propria soddisfazione, senza, però, fare della intimità dell’altro la propria “intimità”.
“Dire che non c’è niente da nascondere, significa immediatamente affermare che qualcosa è nascosto, e tale rimane”.
E quando qualcosa diventa nascosto anche a noi stessi, questo è l’indicibile.

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