Sulla Meschinità

Guardati dalle persone meschine! Esse si sentono meschine di fronte a te, e la loro bassezza cova, ardente sotto la cenere, una vendetta invisibile.
Friedrich Nietzsche

Il termine “meschino” viene dall’arabo miskīn, cioè povero, misero. Il soggetto meschino è sventurato, scarso, gretto.

Il concetto di meschino nasce, allora, con un significato di povertà infelice, di miseria sventurata, che si estende a indicare la mediocrità, la scarsità, sia in termini di qualità, sia in termini di quantità.
Aristotele considerava la meschinità un vizio per difetto: il meschino sbaglia sempre per difetto, pur credendo di fare più del dovuto. Ma Aristotele ritiene che la meschinità, rispetto ad altri vizi in cui ci sia un danno alla persona offesa, non comporti rimproveri, non sia troppo “indecoroso”. In ogni caso la relazione con l’altro è sempre in primo piano.

Oggi la meschinità ha acquisito una preponderante dimensione morale: il meschino è il gretto, chi ha vedute e sentimenti angusti. La meschinità si declina in squallore, avarizia, opportunismo, e in quei segni e sensi che comportano povertà d’animo.
In ogni caso va posto l’accento sulla polivocità della parola, non si tratta, cioè, di una parola dal significato esatto, geometricamente misurabile, ma essa appare nebulosa e poliedrica.
Ad ogni modo, sia che si esprima dal punto di vista di un tornaconto economico, che da quello dell’inganno dei sentimenti altrui, siamo ben lontani dal concetto di dignità, come consapevolezza dei propri principi morali e del rispetto di essi.

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