A partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, sull’onda delle riflessioni condotte dagli psichiatri Good e Kleinman, tra i primi a sottolineare l’importanza dell’utilizzo delle “storie” come strumento di valutazione dell’efficacia della cura e di costruzione di una più importante relazione tra medico e paziente, si diffonde l’idea che la medicina debba caratterizzarsi anche in termini antropologici, in quanto sistema culturale che sostanzia sia la realtà clinica della patologia, sia l’esperienza che di essa fa il malato.
Da qui l’acronimo NBM, Narrative Based Medicine, medicina cioè basata sulla narrazione, esplicito rimando ad un altro acronimo, EBM, Evidence Based Medicine, la medicina di stampo più tradizionale che dei dati clinici fa il suo principale materiale di studio. La definizione concettuale dei vantaggi dell’utilizzo connessi alla medicina narrativa sono attribuibili a Rita Charon, medico internista e docente di Clinica medica alla Columbia University di New York, fondatrice del Program of Narrative Medicine.
La medicina narrativa consente di dar vita ad un approccio consapevole e partecipato, che conduce meglio alla compliance, ossia alla adesione del paziente alla diagnosi e alla terapia. Una “doppia via” della cura percorribile non solo dal malato, ma anche da chi, per professione, ha il compito di guidarlo e assisterlo in una corretta gestione della patologia, e cioè il medico, l’infermiere o l’operatore sanitario.
L’approccio narrativo, di certo non facile, richiede tempi appropriati, riflessioni adeguate ed una formazione specifica.
La medicina narrativa rappresenterebbe uno strumento che permette di fare luce in modo più puntuale sulle problematiche caratterizzanti la malattia, al fine di migliorare la percezione che il paziente ha della propria patologia e costruire una autentica “relazione di cura”. Questo si basa fondamentalmente sul concetto di “antropologia medica” e sull’ importanza del vissuto esperienziale del paziente come un inedito approccio alla cura (Quaranta, 2006).
Secondo Kleinman (1988): “L’esperienza della malattia ha a che fare con il categorizzare e lo spiegare le diverse forme di sofferenza provocate da processi patofisiologici. E quando parliamo di malattia, dobbiamo fare riferimento alle opinioni del paziente sul modo migliore per fronteggiare il dolore e i problemi pratici che esso crea nella vita quotidiana” .
Con la “interpretazione della malattia” il medico avrebbe la possibilità di rompere il circolo vizioso della sofferenza e delineare un percorso di cura più efficace. L’interpretazione della malattia passerebbe attraverso la narrazione della stessa, una narrazione che è imperniata attorno a quattro nuclei concettuali (la scoperta e il riconoscimento dei sintomi, l’idea culturalmente mediata della malattia, il suo significato personale ed interpersonale ed i modelli interpretativi del paziente e dei suoi familiari), la cui analisi permette di individuare l’intreccio che, come in qualunque racconto, sono alla base della costruzione della trama. In questo modo potrebbero venire più facilmente alla luce aspetti della malattia nascosti, che il paziente non verbalizza e che possono risultare di particolare utilità, non solo per interpretare il vissuto del malato e aiutarlo ad uscire dal silenzio in cui spesso egli si chiude, ma anche per individuare la terapia più adatta al caso specifico.
In questo modo, il paradigma epistemologico tecnico-scientifico di matrice positivista troverebbe un connubio con quello di natura estetico-interpretativa ed il sapere medico, la techne, troverebbe un contatto con un “sapere” soggettivo e personale, ascrivibile ai pazienti e all’immaginario collettivo della gente comune, apparentemente in conflitto.
“Spesso impariamo molto di più dall’esperienza altrui ascoltando i racconti di quanto è accaduto loro o intorno a loro. La narrazione è una forma in cui l’esperienza viene rappresentata e raccontata, in cui le attività e gli eventi sono descritti insieme alle esperienze che li accompagnano e alla significanza che dà alle persone coinvolte il senso di queste esperienze” ( Good B.J. 1994/2006).
A Rita Charon (2007), docente di Clinica medica alla Columbia University di New York, e fondatrice della prima scuola di medicina narrativa istituita a livello universitario, il Program of Narrative Medicine nato presso la Columbia nel 2000, va riconosciuto il merito di aver dato nome e vita al concetto di “medicina narrativa”, sia per aver individuato gli ambiti di riferimento, le potenzialità e i vantaggi connessi all’approccio narrativo in ambito medico, sia per aver intuito la necessità di una formazione specifica in tale direzione.
Onorare le storie di malattia significa rendere un tributo al vissuto dei pazienti, dando loro attenzione e concedendo i giusti spazi e gli appropriati tempi di ascolto e di riflessione.
L’approccio narrativo di certo non è facile, richiede tempi appropriati, riflessioni adeguate e una formazione specifica alla comunicazione, da avviare già nell’ambito dell’istruzione sanitaria accademica e proseguire nel corso della vita professionale.
Un modo, in definitiva, più completo di prendersi cura, non solo del malato, ma anche e soprattutto della persona.
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