L’Io insalvabile. L’incomprensibilità dei vissuti psicopatologici.

La parola non era all’inizio. All’inizio v’era l’azione. La parola costituisce la fine piuttosto che l’inizio dello sviluppo.
Vygotskij

La realtà indubbiamente più difficile con la quale dobbiamo confrontarci da psichiatri e psicoterapeuti è quella dei vissuti psicotici.
E questo lo intuì già Jaspers, grande filosofo, che, in veste di psichiatra, nella Psicopatologia Generale del 1913 aveva posto l’accento sulla differenza sostanziale e sulla distanza clinica, tra comprensibilità ed incomprensibilità dei vissuti del paziente. E’ molto più semplice accostarci ai vissuti di stampo nevrotico, in cui l’Io è unito, coeso, conserva la barriera interno/ esterno come difesa e protezione del sé. Ciò che lo circonda, l’altro da sé, il mondo, sono esterni e non possono valicare questa barriera, a meno che non sia lui a volerlo. Nei vissuti psicotici questa barriera diventa permeabile, cade, l’Io è frammentato, lacerato, scisso, angosciato. L’interno e l’esterno diventano un continuo fluire incontrollato di idee, un flusso di pensieri a volte accelerati, ma comunque incomprensibili all’altro.
Il divenire della relazione psicoterapeutica è esperienza di continuità di uno spazio ed un tempo condivisi. Ma come condividere spazio, tempo ed interiorità con degli aspetti deliranti ed allucinatori? Come mantenere quella asimmetria necessaria perchè una relazione sia davvero terapeutica, ma instaurare anche quella empatia e comprensione con chi ci sembra parlare un’altra lingua?
Non è affatto semplice, ma è indispensabile cercare e trovare un filo di narrazione logica possibile, che non è la nostra logica, ma quella del paziente.
Per questo appare necessario ripetere e riproporre elementi frammentari dell’esperienza a prima vista assurdi, bizzarri, sconnessi rispetto ad un significato immediatamente riconoscibile.
Allora, a volte, si deve andare oltre il linguaggio della parola, e ricorrere, ad esempio, al corpo: il linguaggio del corpo può segnare la dinamica di una relazione clinica che mobilita l’inconscio in nuove integrazioni possibili.
La voce, in questi casi, il suo tono, a volte appare in completo disaccordo con il significato ed il significante del verbo.
Nella relazione clinica con lo psicotico ci si muove non seguendo le tracce usuali della relazione, ma alla ricerca di codici a noi nascosti che non trovano corrispondenza nei significati conosciuti. I codici sono per lo più fusionali: la relazione corpo/ esterno deflagra nell’esperienza psicotica.
La relazione di cura, allora, dovrà cercare di ricostruire la compattezza lacerata dall’irrompere della crisi ed il nostro provare a sentirci diversamente esistenti da un vissuto coeso può essere generatore di vita e non di morte.
Dunque occorrono anni di studio, tanta tecnica nell’esplorare l’intangibile, ed esperienza dell’indicibile, ma anche tanta immaginazione.

Lascia un commento