Il “gusto” nella storia e le sue trasformazioni.

“Hai gusto” si dice a qualcuno che sa distinguere il buono dal cattivo, il bello dal brutto.
Siamo “persone di gusto” se siamo in grado di riconoscere la qualità di ciò che andiamo sperimentando, sia che si tratti di un cibo, di un’opera d’arte,, di un libro oppure di un paesaggio.
Tale abilità non è ,però, sempre stata associata al gusto: nel mondo romano antico veniva rappresentata piuttosto con riferimento al naso, ossia all’olfatto.
Durante il Rinascimento italiano ed europeo, invece, per la prima volta si cominciò a usare l’espressione “buon gusto” in senso figurato, ed il motivo di quella scelta era nel fatto che durante il Medioevo scienziati e filosofi avevano assegnato al gusto una capacità di conoscenza superiore a quella degli altri sensi.
In un testo latino del tredicesimo secolo, il “Summa de saporibus”, si puntualizza che alla realtà ci si può avvicinare con la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto, ma che è “solo il gusto, fra i sensi, propriamente destinato a ricercare in maniera perfetta la natura delle cose”, poiché è l’unico che entra nella “materia” ogni volta che mangiamo o beviamo.
Il sapore di un cibo era strettamente associato al “sapere”, e l’analogia fra le due parole, “sapore” e “sapere”, non era una somiglianza occasionale, ma l’espressione di una profonda affinità tra i due concetti.
Ecco che, allora, “gusto” o “buon gusto'” diventarono, in un secondo tempo, sinonimi di esperienza, di conoscenza, di capacità critica.
Nelle “Meditazioni sulla conoscenza” , Leibniz (1684), introduce il tema della conoscenza non ottenibile mediante una analisi razionale, ma riconducibile al “non so che”.
Il gusto trovò, poi, una specifica tematizzazione nel Settecento, non come senso del palato ma come sentire, come capacità di giudizio e valutazione di opere di bellezza, nonché come saper-vivere e sapersi comportare a livello sociale.
La “Critica della facoltà del giudizio” di Kant (1790). tentò di fornire una vera e propria “critica del gusto”, cioè un esame della nostra capacità di valutazione estetica.
La separazione tra i due significati di “gusto”, quello estetico e quello gastronomico, cominciò a rafforzarsi e il gusto gastronomico divenne un elemento marginale della discussione filosofica.
Fu nel contesto culturale e sociale francese di inizio ‘800, che il gusto gastronomico trovò i suoi spazi ideali nei “ristoranti” che erano appena nati.
Il gusto per il cibo, anche se incentrato già su orizzonti multidisciplinari, afferma Anthelme Brillat-Savarin ne “La fisiologia del gusto” (1825), aveva però acquisito valore presso la società borghese.

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