Mio padre mi ha trasmesso l’amore folle per la Filosofia, ma non tanto per lo studio didattico della materia come si faceva al liceo, quanto l’amore per il ragionamento. Ho ereditato da lui la capacità di farmi domande, di cercare di darmi delle risposte, mai del tutto sufficienti ad esaurire le domande, anzi dalle risposte nascono nuove domande. Queste continue interrogazioni sono diventate il mio approccio alla Filosofia Antica, grazie alla Prof.ssa Arianna Fermani dell’Università di Macerata che ha accettato di seguirmi nella tesi di laurea ed alla quale sono debitrice non solo dal punto di vista teorico, ma anche dal punto di vista umano.
La filosofia, credo di aver capito dopo aver completato il mio triennio di studi, è questo: interrogarsi sull’uomo e sulle azioni umane. Ed, ovviamente, sulle sue reazioni. E’ per questo che non ho ancora completato del tutto il mio percorso di studi ed in questi giorni, con la calma ( apparente), sospesa la scadenza degli esami universitari, necessaria per più profonde riflessioni, sto rileggendo il Simposio di Platone.
Una prima considerazione che mi sento di fare è che in poche altre opere come in questa sia racchiusa l’essenza dell’amore. In questo dialogo Platone parla della complessità del sentimento amoroso, che è affatto cosa semplice: gli amanti che passano la vita insieme avrebbero cose da dirsi che non riescono a dire.
Il loro linguaggio non è semplice, anche se l’amore di per sè sembrerebbe un sentimento semplice e naturale, e parlano in modo enigmatico ed oscuro. L’amore non è affatto cosa semplice, ma è indicibile nella sua profondità, sembrerebbe un rebus che da un lato cela e dall’altro ci offre la via per arrivare alla soluzione.
L’enigma dell’amore ha a che fare con la follia. L’Amore è un “metaxù”, come sostiene anche Umberto Galimberti, è un intermediario tra mortali e divini, tra ragione e follia. Gli uomini si interrogano sugli dei e li temono. Gli dei sono considerati i loro antecedenti ed a loro bisogna offrire sacrifici non tanto per accattivarsene i favori, ma per tenerli lontani.
Gli dei potrebbero vendicarsi degli uomini ed allora bisogna evitare di stimolare la loro ira.
Platone parla della ragione come di quella peculiarità che separa mortali e divini e la ragione è cosa umana. La ragione, così come la intendiamo noi e che non è molto diversa da quella che intendeva Platone, si esplica tramite due principi: quello di non contraddizione, secondo cui una cosa è impossibile che sia ed allo stesso tempo non sia e di causalità, che ci permette di individuare i meccanismi di causa-effetto.
La ragione, allora, come proprietà umana, definisce le cose secondo un unico significato di definizione, di determinazione, in modo da individuare la proprietà di un comportamento e fissa i significati in modo da ridurre al minimo la possibilità di imprevedibilità, che genererebbe angoscia: l’angoscia deriva proprio dalla imprevedibilità dei comportamenti del mondo. L’angoscia è un sentimento molto diverso dalla paura: la paura ha un significato protettivo, di difesa, l’angoscia è la perdita di riferimenti, di orientamento, ci si ritrova da soli, senza una bussola a guidare il nostro cammino. Come cercavano di superare l’angoscia gli esseri umani, prima dell’avvento della ragione? Tramite i riti ( se pensiamo a Lévi -Strauss che descrisse quelli della foresta amazzonica), che erano dotati di una grande forza naturale, ma avevano la caratteristica di essere circoscritti, di avere una valenza solo parziale: i riti che valevano per una tribù erano quelli specifici di quella tribù e non valevano per un’altra e quindi non avevano una “efficacia collettiva”.
La ragione, allora, poteva essere secondo Platone, una struttura basata su criteri di tipo universale e quindi valida per tutti.
Come si colloca allora, l’Amore rispetto alla Ragione? L’amore si colloca a metà strada tra i divini e gli umani. Per i divini non vale il principio di non contraddizione: Eraclito dice che il dio è guerra e pace, è estate e inverno, insomma racchiude in sé gli opposti e per lui non vale il principio di non contraddizione. Gli dei non rispettano neppure il principio di identità, sono quindi proprio un mondo a sé stante. Se vale che il mondo umano deriva da quello divino, allora potremmo affermare che ciascuno di noi è folle, ed in effetti in ciascuno di noi è insita una certa dose di follia che, però, riusciamo, solitamente, a tenere a bada, non riuscendoci sempre, ma qui si sconfina nella patologia. L’amore si colloca tra ragione e follia. Platone ci dice che i beni più grandi ci vengono dalla follia, che è assai più bella della saggezza umana. Ecco perchè l’amore è più bello della ragione. Eppure il mondo umano è costellato da crisi, momenti fisiologici di passaggio da una fase all’altra della vita, come le crisi adolescenziali, il matrimonio, i trasferimenti, insomma tutti quei momenti in cui si passa da uno stato ad un altro ed a questi passaggi esistenziali solitamente non si è abbastanza pronti. E la morte. Chi può essere pronto a morire?. Perchè non si è mai abbastanza pronti a compiere questi passaggi? Perchè, inevitabilmente, un passaggio da una fase ad un’altra implica il mettere in discussione il mondo precedente ( noto) per accedere a quello successivo ( ignoto).
Chi può parlare della più alta delle forme di follie, della più eccelsa delle follie. l’amore? Lo fa Socrate durante il Simposio organizzato da Agatone. Socrate sostiene che per parlare delle cose d’amore bisogna dislocarsi dalle cose della ragione. E, se Socrate sosteneva di non sapere nulla delle altre cose, dell’amore sapeva, dell’amore aveva Episteme, che non è semplice sapere ma è un sapere che sta su da sé. Sono pochi i discorsi che stanno su da sé. Non lo sono i discorsi dei sofisti, dei retori. Socrate, invece, “sa” dell’amore e questo grazie ad una donna: la donna è quell'”essere” che abita al confine tra razionalità ( maschile) ed irrazionalità ( divina).
L’arte filosofica ( che è, a mio parere fare vera filosofia) non è insegnare: i veri filosofi non sanno, non sono depositari di una verità da trasmettere, ma sono dotati dell’arte maieutica, che permette di tirare fuori da noi ciò che già è in noi, seppure in modo confuso.
Cosa è l’amore per Platone? E’ mancanza, è desiderio: desideriamo ciò che non abbiamo, ciò che è già in nostro possesso piuttosto ce lo godiamo.
Tra la nostra parte razionale e la parte irrazionale, l’amore ( che quindi ci accomuna ai divini), chi ha la meglio? L’amore, che dispone di noi, disordinando la nostra parte razionale. L’amore è allora ciò che accomuna ( metaxù) divini ed umani. L’amore è quella forza che traduce la parte razionale nella nostra parte folle e la parte folle in quella della ragione. Cosa sono soliti dirsi gli innamorati? ” Sono folle di te”, “Tu mi fai impazzire”. Ecco che, allora, ci si abbandona all’amore quando si è pronti, al cospetto di una determinata persona, allo sconfinamento della propria razionalità. Tu sei quello che ha intercettato la mia parte folle ed io sono disposto a mostrarla a te e non ad un altro. Il pudore, allora, non è nelle vesti, nella reticenza a scoprire il proprio corpo all’altro, ma di mostrare la nostra follia all’altro, che è , poi, la nostra parte divina. L’amore, come la filosofia, ha su di noi una azione maieutica, distruttiva e formativa assieme, perchè comunque vada la nostra storia d’amore, se si tratta di vero amore, non ne usciremo mai esattamente uguali a come eravamo prima. Il vero amore contamina l’altro, non si tratta di fare l’amore con un corpo, ma con un’anima. Perchè valenza distruttiva? Perchè per generare il nuovo è necessario distruggere il vecchio, creare soggettività nuove. Allora ben venga conservare in noi una buona dose di follia, che ci permetta la creatività, ma cercare anche di tenerla a bada perchè non sconfini in una follia incontrollabile.
L’amore che dura nel tempo è quello che consente di perdersi nell’altro, parlando al tempo duale che i greci avevano e che noi non abbiamo più, conservando una nostra ipseità, una parte ignota anche a noi stessi, oltre che all’altro, che, però, stimoli l’altro ad una ricerca continua. Ecco perchè forse molte storie d’amore finiscono: quando si ha la sensazione che non ci sia null’altro da scoprire.
Questo è solo un esempio di come intendo procedere nei miei studi filosofici, rendendomi materia plasmabile, su cui uno studio maieutico possa avere spazio. Ben lontana, sono consapevole. dall’Episteme, perchè il mio studio non sta su da sé e ha bisogno ancora di stampelle a cui aggrapparsi, non ho intenzione di demordere, così come non mollo mai le cose in cui credo davvero nella mia vita.