Fallire è un pò come morire?

Si legge nel vocabolario Treccani alla voce Fallimento: “falliménto s. m. [der. di fallire]. – 1. ant. a. Fallo, errore: fare f., commettere errore; senza f., infallibilmente, con certezza di non errare. b. Mancanza, difetto di qualche cosa: f. di vittovaglia (G. Villani). 2. Stato di insolvenza di un imprenditore commerciale: essere sull’orlo del f.; fare, dichiarare f.; f. doloso, fraudolento; restare al f., detto dei creditori del fallito che perdono parte del loro capitale. Nel diritto, più propriam., il procedimento giudiziario concorsuale instaurato con la sentenza del Tribunale che dichiara fallito l’imprenditore in stato di insolvenza e volto ad assicurare il soddisfacimento, a parità di condizioni, dei creditori. 3. fig. Esito negativo, disastroso, grave insuccesso: il f. dei negoziati; f. di un’iniziativa, di una politica; l’impresa è stata un vero f.; dichiarare f., riconoscere l’inutilità dei proprî sforzi, l’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione”.
Sia in senso materiale che, forse ancor di più in senso morale, il termine “fallimento” rimanda al senso di una perdita. Fallire è non riuscire nel proprio scopo, in uno o più scopi che ci si era prefissati di raggiungere. Gli psicologi incoraggiano chi si trovi in una condizione come questa, sostenendo che dal fallimento segue una rinascita ( interiore od esteriore, a seconda che il fallimento sia stato morale o materiale). Può darsi, non è da escludere che da una perdita possa derivare l’acquisizione di altro, successiva alla perdita, ma, intanto, il momento del fallimento va superato e non è cosa semplice. Un fallimento amoroso, ad esempio, non è semplice da superare: implica mettere in gioco soprattutto se stessi, oltre che l’altro, a meno che non si voglia adottare la tecnica, decisamente più comoda, di attribuire all’altro la colpa della mancata riuscita della relazione. Il fallimento implica l’attraversamento di un crinale, oltre il quale non è noto cosa ci sia. Siamo consapevoli, spesso, di non poter continuare a stare in quella relazione, ma alcune relazioni, seppur patologizzate, finiscono con il rassicurarci: si può continuare a starci per paura della solitudine, del giudizio altrui, delle possibili conseguenti perdite economiche. O, ancora più semplicemente, perchè non si sa compiere una scelta ed ammettere a se stessi di aver fallito. Dal fallimento si esce, spesso anche a testa alta, ma bisogna uscirne e tentare di farlo mentre si è nel pieno delle sensazioni negative che il fallimento provoca, non è cosa facile. Elaborare il senso di vuoto che l’aver fallito porta con sé richiede tempo, ed è un tempo che ognuno di noi deve sperimentare su di sé. C’è chi riesce ad elaborare la perdita più velocemente, chi ci mette più tempo, chi, forse, non riesce mai del tutto, mentre gli sembra di esserne quasi fuori. Il fallimento di una relazione, che sia essa d’amore o d’amicizia implica sempre la perdita non solo dell’altro, ma anche di una parte di sé, che sembra, a volte di non riuscire a recuperare se non continuando a “stare” con l’altro, anche quando non c’è più nulla che ci leghi a lui. Eppure gli psicologici raccomandano anche che non si può costruire una relazione salda e duratura se non si è all’inizio “interi” e si cerchi nell’altro il completamento di sé. Quello che si dice, insomma, “bastare a se stessi”. Ed allora quando si è consci di aver fallito, occorre, credo, ricordarsi che è bene troncare rapporti e relazioni che sono diventati rami secchi nella nostra vita. Un ramo secco non ci ripara, certo, con la sua ombra dal sole, ma può impedirci di vedere più chiaro all’orizzonte.

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