Intelligenza Artificiale e Approccio Multifocale del pensiero umano: due strade parallele?

Quando si usa il termine di “Intelligenza Artificiale”, si pensa a tecnologie estremamente all’avanguardia, a “macchine” in grado di “comprendere” ed addirittura capaci di decidere le azioni da compiere. L’utilizzo di queste macchine è diventato reale ed utilizzabile in vari ambiti della vita quotidiana.

L’Intelligenza Artificiale è nata all’ incirca nel 1956, durante un convegno in America e lì venne chiamata ‘sistema intelligente’, come un ramo dell’informatica per permettere la programmazione e progettazione di sistemi hardware e software, che dotano le macchine di caratteristiche che vengono considerate tipicamente umane quali, ad esempio, le percezioni visive, spazio-temporali e decisionali. Si tratterebbe,quindi, cioè, non solo di una funzione per le capacità di calcolo o per la formulazione di dati astratti, ma ruguarderebbe anche e soprattutto quelle differenti forme di intelligenza individuate dalla teoria di Gardner, cioè l’intelligenza spaziale, quella sociale, quella cinestetica e quella introspettiva. Un tale sistema avrebbe la pretesa di imitare, od addirittura vicariare, l’ attività pensante umana.

Il programma Logic theorist, sviluppato da due ricercatori, Allen Newell e Herbert Simon, dimostrava dei teoremi di matematica partendo da alcune informazioni che venivano fornite.

Negli anni successivi furono ideati programmi in grado di dimostrare teoremi sempre più complessi, tra cui il Lisp, il primo linguaggio di programmazione che per oltre trent’anni fu alla base dei software di Intelligenza Artificiale. Se inizialmente si sviluppò un fervido ottimismo rispetto alle ricerche e alle sperimentazioni in questo campo, ben presto, nella prima metà degli anni sessanta, furono evidenti i limiti della intelligenza artificiale, che non sembrava poter riprodurre le capacità intuitive e di ragionamento proprie degli esseri umani.

Nella seconda metà degli anni sessanta, divenne sempre più evidente che quanto realizzato fino ad allora nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale non era più sufficiente alle nuove necessità, che andavano oltre la ‘semplice’ soluzione di teoremi matematici più o meno complessi, con l’ambizione di ricercare soluzioni a problematiche più vicine all’ uomo tramite software che potessero ragionare e prendere delle soluzioni in base all’analisi di differenti possibilità.

Nel 1969, grazie a scoperte in campo biologico, fu realizzato un programma, denominato Dendral, in grado di ricostruire una molecola semplice a partire dalle informazioni ottenute dallo spettrometro di massa. Da qui la nascita dei sistemi esperti, che erano in grado di trovare soluzioni per determinati scenari. Nei primi anni ’80 soprattutto, la ricerca sull’Intelligenza Artificiale allargò i propri ambiti geografici oltre gli U. S.A. con l’ intento di consentire l’ apprendimento tramite reti neurali, così come accade nel Sistema nervoso centrale, in grado di riprodurre ragionamenti tipici degli esseri umani, tramite algoritmi sempre più complessi e che portò alla formulazione della teoria dei linguaggi formali ed alla teoria delle decisioni. Inoltre, tramite la machine learning o apprendimento automatico tramite reti neurali artificiali, una macchina diventa in grado di svolgere una azione anche se non compresa tra quelle programmate, una sorta di ambiente dinamico in continua evoluzione. L’ intelligenza artificiale trova le sue applicazioni non solo in quest’ ambito tecnico, ma anche nel quotidiano, come accade negli strumenti di riconoscimento vocale degli smartphone o nella programmazione dei giochi, ma soprattutto, più recentemente, in ambito medico ed anche psichiatrico, tramite la robotica, che rappresentano solo alcuni dei molteplici esempi che si potrebbero fare.

Ma, in tutto questo, dove è la relazione? Essa rimane una caratteristica profondamente umana. Nessuna macchina potrà mai simulare la relazione interpersonale che deriva dai sentimenti, dalla empatia e dalla compartecipazione affettiva caratteristica dell’animo umano, per quanto imprecisi e fallaci essi possano essere. E, direi, a mio avviso, meno male.

Nessuna macchina potrà mai simulare, contrariamente al principio classico operari sequitur esse, che promulga la perfetta assimilabilita’ di due enti riconducendola alla identità delle azioni che possono compiere, l’approccio multifocale proprio del pensiero umano. Una macchina non potrà mai essere dotata del Multifocal Approach, modus operandi dell’Università di Macerata, nato per un approccio più completo alla filosofia antica, ma assolutamente estensibile ad ogni altro ambito del sapere. L’approccio multifocale supera il singolo sistema di pensiero che potrebbe raggiungere un robot, aprendo lo sguardo, costantemente deambulante lungo la realtà circostante. La mia opinione è che, per quanto perfetta ed infallibile possa essere una macchina, senza un approccio multicentrico incentrato sull’ essere umano, troppi suoi aspetti potrebbero passare inosservati.