L’invidia e l’asincronicità dei tempi

Ho letto il libro di Carla Stroppa, psicoanalista junghiana, dal titolo “Gli spostati. Vivere senza amore”, recentemente pubblicato da Moretti e Vitali, che mi ha stimolato a molte riflessioni. In particolare la mia attenzione si è focalizzata sulla figura degli “spostati” che, per l’autrice , sono coloro che non aderiscono ad una identità centrale, ma vivono distanti dal loro centro identitario, e questo per varie ragioni. Questi soggetti avvertono un divario tra quello che sentono interiormente e quello che è il loro apparire. Un divario a volte molto doloroso ma vissuto come ineluttabile, tra chi sono e chi vorrebbero essere e collezionando fallimenti nel tentare di esserlo.
Gli spostati sono coloro che, pertanto, si sentono emarginati, infelici, abbandonati, incompresi.

Molti di noi, allora, possono sentirsi “spostati”, se il contesto in cui viviamo non rappresenta ciò che realmente noi siamo. Se l’ambiente in cui viviamo, invece, rispecchia il nostro mondo interiore, allora è più facile ritrovare, recuperare questa “identità” perduta o che non si è mai avuta e che è necessario costruirsi, giorno, dopo giorno.
L’invidia di cui l’autrice parla nel volume è collegata anche a questo, l’invidia da intendersi nel senso peggiore del termine, non, cioè, nel senso di ammirare l’altro e cercare di guadagnarsi, semplicemente percorrendo la propria strada, perseverando nei propri obiettivi, quello che non si ha. E’ estirpabile, l’invidia? A volte, quando si acquisisce consapevolezza di provare questo sentimento e si cerca di porvi rimedio. Allora, se, come accade durante un percorso psicoanalitico, si recupera una sincronicità con l’altro, questa aiuta alla “salvezza”. Salvarsi significa evolversi dalla banale invidia che porta anche a nuocere all’altro per il proprio tornaconto, a cercare, se possibile, di renderlo infelice, ad appropriarsi, ad esempio, delle sue idee, spacciandole per proprie. Gli “spostati” allora chi sono? Coloro che invidiano o coloro che sono invidiati? Credo possano esserlo entrambi, perchè per entrambi il baricentro è deviato dal proprio essere, i primi in quanto non riuscendo a brillare di luce propria, per non vivere nell’ombra, cercano di rubare la luce altrui; i secondi perchè possono subire una destabilizzazione identitaria se l’invidia assume correlati persecutori.

Purtroppo, l’ invidia può avere successo, perchè chi non prova tale sentimento, spesso non lo ravvisa nell’altro e ne può rimanere vittima. L’invidioso è come se vivesse in modo asincrono rispetto agli altri. Combattuto tra il timore di arrivare più tardi e la brama di essere “il primo”, non riesce a relazionarsi autenticamente, nel tempo e nello spazio, con chi ritiene più in “alto” di lui ma non può ammetterlo. Che vie rimangono, all’invidioso, da percorrere? Perseverare in questa strada malefica, in cui cammina, corroso, in ogni momento, dalla brama di avere, di potere, ma intimamente consapevole di non poter essere nel senso più vero ed autentico del termine; oppure, in alternativa, umilmente ammettere di provare questo pessimo stato d’animo e, perchè no, anche attraverso un percorso psicoterapeutico, recuperare una autentica sincronicità con l’altro, che consentirebbe, sia a chi invidia che a chi è invidiato, una vita migliore.

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