Tra le paure che la quarantena da Covid 19 potrebbe aver amplificato, oltre a quella del contagio, che, peraltro, entro certi limiti, è assolutamente lecita, se non diventa una vera e propria fobia, vi è l’anuptafobia, la paura di rimanere single.
Durante il lockdown sono emerse la paura del contatto fisico (afefobia o aptofobia), quella verso la folla (demofobia), quella di ammalarsi e sopravvalutare anche i più piccoli disturbi (ipocondria).
L’anuptafobia è stata così denominata da dieci anni circa, sebbene non sia annoverata nel DSM 5, mentre in precedenza era compresa come quadro psicopatologico nello spettro ansioso-ossessivo.
La manifestazione evidentemente più comune di questo disturbo è la dipendenza affettiva che si palesa anche in quei casi in cui sarebbe, invece, più opportuno prendere le distanze da una relazione logora o, ancor peggio, tossica per chi la vive.
Solitamente ( ma non esclusivamente) si tratta di donne che hanno superato i trent’anni, che possono aver subito in età infantile e/o adolescenziale, abbandoni, che le portano a sviluppare sensi di colpa rispetto alla possibilità di aver meritato quell’abbandono e che mostrano una bassa autostima rispetto a quanto possano valere. L’altro viene visto come un compagno indivisibile, un rifugio, l’unico in cui porre riparo. La popolazione generale viene classificata in single e non single, e quella single come fallitea nella vita, prescindendo da quella che può essere una scelta personale. La coppia, la famiglia ed i figli rappresentano il successo e la realizzazione personale.
Nonostante i tempi siano molto cambiati, il ruolo della donna per certi versi è rimasto identico ai tempi addietro.
La fobia di rimanere sole trova un esempio in Bridget Jones, che colleziona relazioni pur di non rimanere da sola.
Come tutte le altre fobie, l’anuptafobia non fa eccezione: si sperimenta una quota elevata di ansia, alla quale si associano fasi di depressione, allorquando un partner non è presente. Questo spinge chi ne è affetto a collezionare partner nel tentativo ( non riuscito) di sedare l’ansia, sia a rimanere, come si accennava in precedenza, in uno status relazionale stantio ed infelice, pur di non stare da soli.
L’atto di collezionare un partner dopo l’altro in modo ossessivo non lascia il tempo di chiedersi perchè una relazione non abbia funzionato: l’importante è non rimanere da soli e passare alla storia successiva.
Durante il lockdown imposto dalla pandemia, l’ansia di queste persone è cresciuta a dismisura, il meccanismo di controllo patologico dell’altro non più possibile in modo diretto, si è spesso manifestato via chat o sui social quando uno status online crea una forte sensazione di disagio e di dubbio assillante.
Esiste, però, una via d’uscita, od anche più d’una: un trattamento psicoterapico appare fondamentale, che sia sotto forma di una psicoterapia del profondo che vada ad esaminare cosa sottende a tali atteggiamenti, che, invece, vada a fornire degli strumenti comportamentali per affrontare e non aggirare la fobia. A questi tipi di psicoterapie può essere di supporto un trattamento farmacologico adatto a sedare l’ansia e a migliorare l’umore.