Il concetto di Recovery nei Disturbi del Comportamento Alimentare


Il concetto di Recovery è usato ma anche spesso abusato in Psichiatria. Nato a partire dagli anni ’90, è un concetto mutuato dalle malattie ad andamento cronico, in cui, ad esempio, un organo, seppure danneggiato, può ritrovare, con gli ausili terapeutici adeguati, una modalità di funzionamento, per quanto possibile simile a quella che aveva prima di ammalarsi. La recovery in Psichiatria rappresenta, sicuramente, un concetto più complesso, perchè non si limita al mero funzionamento organico dei circuiti neuronali che potrebbero essere farmacologicamente aggiustati per tornare a funzionare, come avviene in una patologia organica. La parte biologica, pure essenziale, del nostro sistema nervoso centrale, quella quantitativa, non può essere disgiunta dalla sfera intrapsichica, ossia, quella qualitativa, che comprende i vissuti, l’emotività, l’amore per sé, le relazioni sociali e quelle lavorative. Ciò non è sempre semplice e affatto scontato, allorquando il disagio psichico abbia una certa rilevanza sintomatologica, tanto da aver allontanato l’utente dal proprio mondo interno oltre che da quello esterno, che, anzi, a volte ancora stigmatizza chi è affetto da un disagio psichico. Quindi recovery può coincidere con “guarigione”? Non se intendiamo guarigione come restitutio ad integrum, come accade per un organo fisico che si ammala transitoriamente e, curato adeguatamente, torna a funzionare regolarmente, o, almeno, non nei disturbi psichici più gravi, nei quali bisogna cercare un aggiustamento sintomatologico che consenta alla parte “buona” del paziente di prevalere su quella “malata”.
Cosa accade per i disturbi del comportamento alimentare che si trovano a metà strada tra il fisico e lo psicologico?
E’ necessario partire dalla considerazione e, quindi, dal non tralasciare, i vissuti esperienziali dei pazienti, per quanto essi ci consentano di entrare nel loro sé, imparando a fidarsi ed affidarsi a noi. Se il mondo esterno non fa paura, il mondo interno diventa più facilmente esplorabile.
Se un tempo l’interesse clinico era concentrato ad esempio nella patologia anoressica alla ripresa del peso corporeo, pure sicuramente essenziale, è diventato anche molto importante analizzare come il paziente percepisca lo stato di guarigione o a cosa possa ostacolare questo processo.
I disturbi del comportamento alimentare sono disturbi particolarmente complessi, caratterizzati da una modificazione in senso patologico delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. Seppure rimanga prevalente l’esordio in età adolescenziale,, questi disturbi non disdegnano nessuna fascia di età, comprese quelle infantili e quelle più adulte, e si stanno rivelando in crescita, oltre che nel mondo femminile, anche anche in quello maschile, nel quale, però, rimangono spesso misconosciuti e giungono ai servizi specialistici ancora più tardi dei casi femminili. (Berkman, Lohr, & Bulik, 2007). Diagnosi di comorbidità con altri disturbi della sfera psichica, presa in carico tardiva da parte dei servizi, spesso dopo anni di malattia, rendono più difficile l’approccio diagnostico e terapeutico di questi disturbi, che, non dimentichiamo, spesso migrano da una forma all’altra di presentazione sintomatologica, con complicanze a livello fisico, sociale, rendendo sempre più complicato ipotizzare una remissione completa.
Citerò in questa sede solo alcuni dei metodi per la raccolta e l’analisi dei dati che si distinguono tra loro basandosi su assunti epistemologici specifici e per i quali non è presente una tassonomia definita.
I più noti sono la Grounded Theory , l’etnografia, i focus group, e l’approccio narrativo come il metodo delle storie di vita. Altri metodi che possono essere impiegati sono l’analisi del discorso (Van dijk, 1997) e l’analisi della conversazione (Sacks, Schegloff, & Jefferson, 1974).
Attraverso questi metodi di indagine si evince che il raggiungimento di un peso corporeo adeguato, il miglioramento dei comportamenti riguardanti l’assunzione di cibo e la ricomparsa del ciclo mestruale, ad esempio, non garantiscono una riacquisizione di un buon rapporto “psichico” con il cibo e/o con le forme del proprio corpo (Fenning, Fenning, & Roe, 2002). Inoltre, gli elementi positivi della ripresa del peso corporeo non garantiscono un funzionamento sociale e lavorativo adeguato . Per quanto gli psichiatri e gli psicoterapeuti sostengano che la valutazione del paziente debba essere globale e non possa prescindere né dal fisico, né dallo psichico, tale valutazione non è sempre facile da rara e difficile da perseguire e fattibile nella pratica clinica (Couturier & Lock, 2006).
Ascoltare la paziente e valutare attentamente la descrizione che viene fatta dei sintomi e del proprio corpo ci fornisce preziose informazioni sul modo in cui viene considerato il suo mondo interno che spesso, anzi, quasi sempre, non coincide con l’immagine esteriore che viene data di sé.
Questa particolare attenzione durante il colloquio ripaga il terapeuta, offrendogli una guida per accompagnare il paziente nel processo di guarigione.
Esisterebbero i turning points o punti di svolta, che sono definiti dalle pazienti come momenti o eventi fondamentali e ben riconoscibili, improvvisi, o più graduali, nel percorso verso la guarigione.
La malattia o un lutto non elaborato di una persona significativa, soprattutto se vissuto in età precoce, può portare una paziente a “decidere” di vivere in modo anoressico (Nillson& Hӓgglöf, 2006 ).
Il riconoscimento di nuove esigenze nella propria vita o volerle dare una svolta, ma non sapere come fare, può condurre ad un disagio alimentare: non riuscire a rifiutare la vita che si sta vivendo, porta a rifiutare il cibo o a cibarsene drogasticamente nel tentativo di un oblio di un mondo vissuto come estremamente spiacevole. Riuscire a comprendere ed accettare quanto di negativo ci sia nella propria vita e non poterlo cambiare nell’ immediatezza non è semplice: implica un percorso di apprendimento che deve necessariamente percorrere tappe non sempre veloci, ed ostacoli facilmente superabili.
Questo può comportare anche il tentativo, riuscito o meno, di boicottare la propria vita: non portare a termine gli studi, seppure condotti in modo brillante, uscire da una relazione sentimentale prima vissuta in modo entusiastico, farsi del male in ogni modo possibile, non ritenendosi capaci di diventare attori di un cambiamento.
La recovery può essere intesa come la ripresa di una sana alimentazione, ma non disgiunta dalla sensazione di aver ripreso nelle proprie mani la vita e di riuscire a gestirla in modo più adeguato.
In questo processo di cambiamento la paziente va accompagnata e non la si può accompagnare senza l’ascolto, la relazione, la fiducia, l’empatia, fattori imprescindibili perchè ella si senta davvero aiutata nell’identificare le cause del suo disturbo, a non temerle più, come accade nei sogni di mostri spaventosi ed invincibili, ed, infine, a riuscire a perdonare se stessa.

Voci bibliografiche

Albanesi, C. (2004). I focus group. Roma: Carocci.
Berkman, N. D., Lohr, K. N., &Bulik, C. M. (2007). Outcomes of eating disorders: a systematic review of the literature. International Journal of Eating Disorders, 40, 293–309.
Couturier, J., & Lock, J. (2006). What is recovery in adolescent anorexia nervosa? International Journal of Eating Disorders, 39, 550–555.
Fenning, S., Fenning, S., & Roe, D. (2002). Physical recovery in anorexia nervosa: Is this the sole purpose of a child and adolescent medical-psychiatric unit? General Hospital Psychiatry, 24, 87–92.
Nilsson, K. &Hägglöf, B. (2006). Patient Perspectives of Recovery in Adolescent Onset Anorexia Nervosa. Eating Disorders, 14, 305–311.
Sacks, H., Schegloff, E.A., & Jefferson, G. (1974). A Simplest Systematics for the Organitation of Turn-taking for Conversation. Language, 50, 696-735
Van dijk, T. A. (1997). Discourse studies: a multidisciplinary introduction, vol I and II. Sage: London.



Lascia un commento