Può esistere il bello nel brutto nella Filosofia Aristotelica?

Uno degli interventi della Prof.ssa Arianna Fermani al Convegno della Scuola Estiva di Alta Formazione in Filosofia di Roccella Scholé avente come tema Aristotele ha suscitato la mia curiosità, come spesso accade ed allora mi sono ritrovata a pensare e ripensare a domande e a come le risposte a volte sono in esse custodite. Il punto di inizio è stata la considerazione del ‘bello’ fatta da Aristotele in più parti, nella ‘Poetica’, nella ‘Prassiì e nella ‘Teoria’. Per lo Stagirita il Bello non esisterebbe solo in ciò che è indiscutibilmente tale, Kalos kai Agathos, ma anche in ciò che a tutta prima ci sembra orrido, ignobile, disgustoso. Allora mi sono chiesta quale potesse essere la traccia che Aristotele ci offre per individuare quanto ci possa essere di piacevole in ciò che è spiacevole e come questo possa essere applicabile ai tempi odierni, in cui, inevitabilmente ci si trova a confrontarci con quanto ci reca dispiacere, se non orrore.
La modernità oggi sembra sempre più il luogo del brutto, in antitesi con quanto l’estetica si riferisce al ‘bello’. Forse è importante, allora, andare a recuperare un senso che vada oltre l’apparenza del brutto.
In senso morale il bello coincide con il ‘buono’ e il ‘brutto’ con il cattivo, ma se provassimo a disgiungere l’apparenza dal significato morale, il brutto acquisirebbe una sua autonomia, che potrebbe semplicemente rappresentare un eccesso di bello armonico e quindi non più contenuto nel giusto mezzo della virtù, ma travalicante il bello e quindi disarmonico.
Aristotele amplia l’estetica in teoria dell’arte, che conduce alla conoscenza e al piacere, e sostiene che nell’arte ci attrae ciò che nella vita ci ripugna, perché ci permette la conoscenza che potrebbe operare una trasfigurazione del brutto.
In Aristotele il bello rimanda a un ideale di perfezione e armonia, mentre il brutto è espressione della realtà imperfetta e disarmonica. Assistere all’arte sotto forma di tragedia contribuisce all’educazione morale dell’uomo, poiché assistere alle passioni tragiche, ma con la consapevolezza che si tratta di una finzione, assolve, secondo Aristotele, una funzione catartica, in cui lo spettatore, esterno al conflitto, ne esce indenne. Ed ai tempi odierni? Come è possibile ‘ digerire’ persone o situazioni che ci appaiono brutte, disarmoniche con il nostro modo di essere, e spiacevoli? Forse, a mio avviso, solo passandoci vicino, attraversandole, con il coraggio ‘purificatore’ di rimanerne anche turbati, perché non si tratterebbe di qualcosa di impersonale che non ci tocca come accade nell’arte, ma che invece, può coinvolgerci direttamente. Sapere di attraversale e di lasciarcele alle spalle potrebbe rappresentare lo stimolo a tendere verso il bello e questo percorso accidentato che la vita spesso ci riserva, forse, percorrendolo con una meta ben precisa, ci potrebbe rendere meno faticoso il cammino.

Lascia un commento