L’anoressia mentale, da distinguere dalla inanizione provocata da problematiche organiche, è diventata un’emergenza sociale. Un grossissimo problema, seconda causa di morte dopo gli incidenti automobilistici, che coinvolge prevalentemente l’età adolescenziale, anche se l’età di esordio si sta abbassando verso la preadolescenza, addirittura prepubere, l’età infantile e della prima e primissima infanzia e nel periodo neonatale (Mouren-Simeoni M.C., Bouvard M.P., 1993). L’anoressia rappresenta da sempre un nodo troppo spesso fittamente intrecciato tra psichiatria e medicina e questo per una duplicità di motivi: da un punto di vista nosografico molte sono le denominazioni che il disturbo acquisisce a causa delle differenti forme cliniche, e da un punto di vista clinico-gestionale risulta sempre più difficile la terapia ed il trattamento delle varie forme di anoressia che molto spesso è “contaminata” da altri disturbi psichiatrici e nella quale si può assistere ad una transmigrazione da una forma clinica ad un’altra. Una ragazza anoressica restrittiva può vedere mutare la sua patologia in una tendenza alle abbuffate o viceversa.
In effetti la “soluzione anoressica” (Boris H.N., 1984) cela realtà psicopatologiche differenti, in cui il denominatore comune rimane la perplessità nel definire l’identità femminile.
Da un punto di vista psicodinamico le descrizioni cliniche dell’anoressia mentale (Bruch H., 1974, Selvini Palazzoli M., 1963) che hanno ripreso quelle della fine dell’’800 ( Lasegue C., 1873) tendono a definire un’entità nosografica autonoma, legata in modo quasi esclusivo alla psicopatologia femminile.
Denominatori comuni della sindrome sono una difficoltà di definizione dell’ identità femminile: è evidente come questi aspetti, adolescenziali e giovanili, richiamino situazioni originali di sviluppo dell’immagine di Sé. La corrispondenza tra livelli attuali e livelli antichi è provata dalla coincidenza che le anoressiche mostrano tra spazio fisico e spazio mentale, come nell’iniziale binomio corpo-mente (Selvini Palazzoli M., op. cit.).
H. Bruch ha dipinto le pazienti come bambine modello che “soddisfano il sogno dei loro genitori di avere un figlio perfetto” ed ha parlato a loro proposito di “infanzia esemplare” (Bruch H., 1980).
Il sesso più coinvolto rimane sempre quello femminile, anche se negli ultimi anni si è registrato un incremento della patologia in quello maschile. Nei ragazzi si tratta di due forme cliniche differenti: una, praticamente sovrapponibile a quella femminile con dimagramento ed emaciazione e l’altra, definita anoressia “inversa”, con incremento della massa muscolare, dovuta ad un’eccessiva attività fisica e presumibile ingestione di cibi iperproteici e/o assunzione di steroidi anabolizzanti.
L’anoressia maschile presumibilmente è comunque sottostimata, perché, da un lato, i casi di anoressia inversa non sono sempre valutati come anoressia e, dall’altro, il rivolgersi alle strutture sanitarie ( da parte dei pazienti e/o dei familiari), è, in questa come in altre patologie, più proprio delle donne che degli uomini.
La “soluzione” anoressica più che astensione dal cibo e rifiuto del nutrimento, è decisione di non accettare nulla all’interno del proprio spazio, soprattutto di non assimilare alcun elemento esterno, di non integrarlo alla struttura (Boris H.N., 1984).
Non sempre la soluzione riesce perfettamente: qualcosa può filtrare attraverso la barriera, e a volte se penetra viene rigettato con il vomito autoindotto.
L’anoressia è rivelatrice di alterata permeabilità dello spazio interiore e prova l’esistenza di una patologia dei confini del Sè.
La situazione premorbosa, come aveva già rilevato Lasègue, corrisponde a un ritiro rispetto alle attività e al ritmo di vita: abbandono degli studi, contrazione delle relazioni sono abituali.
La fase anoressica si presenta quale sospensioni di ritmi, ritrarsi rispetto alla fisiologia e al tempo storico.
L’anoressica, secondo Boris, distingue i livelli d’assorbimento: quanto entra “in me”, ella ci ricorda, resiste ad essere “di me”, dissimulando questo atteggiamento con frasi del tipo:” La carne con il sugo non mi piace, non capisco perché mamma non la cucini arrosto”, “Il dolce non lo voglio, non mi piace la crema”.
“Leitmotiv” psicopatologico rimane per tutta questa fase, la non-definizione dell’immagine del Sé, che conferma le carenze strutturali e che ha, quale correlati, l’emancipazione del corpo e la negazione della sua fisiologia.
Le giovani adulte appaiono solitamente “sessuofobiche”, ma anche allorquando non presentino difficoltà nella vita sessuale, riferiscono un notevole disagio nello sviluppare sentimenti e affetti: i rapporti risultano più “contatti” e “fusioni” che non effettivi “scambi”.
Da un punto di vista fisico, l’amenorrea secondaria e l’anoressia corrispondono a turbe di un momento evolutivo preciso nella ricerca dell’identità femminile, che per S. Freud (1905) deve affrontare un lungo e non lineare cammino, dovendo spostarsi dall’amore assoluto per la madre del periodo pre-edipico all’investimento sul padre, figura centrale della fase edipica, per tornare alla madre nel momento ulteriore, di definitiva separazione, costituito dalla pubertà.
I cambiamenti legati alla immagine corporea vissuti dalla bambina che diviene donna adolescente risultino assai traumatici e difficili da tollerare da parte di quelle bambine che hanno subito turbamenti nei momenti di identificazione precoci, nei quali il rapporto mente-corpo funziona come un’unità non differenziata.
Alcune adolescenti evitano gli attributi femminili e mantengono un aspetto efebico, di solito ben accordato a predilezioni sportive.
Giovani più inclini a riconoscersi nel ruolo femminile, ad occuparsi di moda, mostrano comunque di preferire una figura stilizzata e ridotta nei caratteri sessuali specifici.
Il conformismo alle abitudini alimentari del proprio ambiente portano alla confezione di pasti determinati, spesso monotoni, prevedibili nella composizione e nella successione dei vari componenti.
Lo stato d’animo anoressico è stato descritto da Pillay e Crisp (1977): scarsa fiducia nelle proprie risorse, aumento dell’ansia e della depressione, interazioni sofferte, tendenza ad uno stile “ossessivo” per equilibrare la perdita di quel “controllo” che è nucleo della fenomenologia anoressica :il timore si lega all’assimilazione di emozioni, all’accoglimento di elementi nuovi che mutino nella sostanza economie cristallizzate.
Nell’ambito,poi, di questo disagio individuale, le famiglie sono sempre addosso, il cibo è sempre presente
Questo dato è stato messo in rilievo da Lasegue nel 1873 fino alla Palazzoli Selvini nel 1963 : un continuo rilevare il rimando necessario alla famiglia, alle norme dell’ambiente, alla società stessa.
Il rifiutare il cibo, il non mangiare, il deperire, sono dunque inscindibili dal contesto familiare e sociale.
La ragazza rimane isolata in una famiglia che non la comprende, tuttavia rimane legata a questa famiglia, perché proprio le motivazioni del suo disturbo le impongono di restare, con prevalenza di modelli di attaccamento insicuri e irrisolti rispetto ad un lutto o un trauma.
In una riflessione antropologica (Levi-Strauss CL,“Pensiero selvaggio”,1962; ”Il crudo e il cotto”, 1964), si possono cogliere i nessi che legano sfera alimentare e sfera sessuale: “…analogia profondissima…ovunque nel mondo, il pensiero umano sembra stabilire tra l’atto della copulazione e l’atto del mangiare, a tal punto che moltissime lingue li designano con lo stesso termine…”.
Si pensi ancora alla “dialettica dell’apertura e della chiusura degli orifizi”, che più sembra far convergere i rapporti tra le varie sfere a livello del corpo. Questa dialettica, nella quale “continenza e incontinenza, chiusura ed apertura, si pongono anzitutto come manifestazioni di misura e dismisura”, porta a focalizzare i significati del vomito e delle alterazioni della funzione intestinale, fatti consueti nell’anoressia. E sempre in questa dialettica emergono alcune figure quali il masticare rumorosamente, il ridere, l’aprire la bocca, l’orinare, il mestruare, che pure, come risulta dalle notazioni di vari studiosi e della stessa Palazzoli Selvini, la quale ricorda, tra le altre, la difficoltà che aveva una delle sue pazienti ad aprire la bocca dal dentista, acquistano una connotazione precisa nella dinamica del disturbo psicopatologico.
