La Fenomenologia dello Spirito rappresenta il capolavoro filosofico di Hegel, l’opera della sua maturità ( 1807), che ha influenzato il panorama culturale tedesco ed europeo, almeno nella prima metà dell’Ottocento.
E’ il racconto di come la ragione, l’assoluto, si sia manifestato nella storia.
Hegel ci racconta le tappe, sotto forma di figure storiche, di come la ragione in sé sia uscita da sé e, dopo essersi manifestata in fenomeni,faccia ritorno a sé.
Credo, però, che, se studiata unicamente in questo modo, la Filosofia rimanga una disciplina astratta, seppur renda avvezzi a pensare. Ed è per questo che ho provato, con un volo forse pindarico che potrebbe “turbare” i filosofi veri, a “calarla” nel nostro quotidiano. Credo che lo studio della filosofia possa avere ancora di più un senso se essa venga contestualizzata al tempo in cui viviamo e alle nostre relazioni interpersonali, al nostro modo di rapportarci non solo con noi stessi, ma anche con gli altri. D’altronde, lo stesso Hegel riteneva che la ragione è dialettica, è confronto, senza un confronto ed un eventuale scontro, non può manifestarsi come ragione universale. Il processo dialettico è dato da tre passaggi:
- la tesi, il momento affermativo,
- l’antitesi, il momento negativo, e
- la sintesi, il momento di ritorno, quello più fertile, perché ha in sé la tesi, l’antitesi, ed il superamento di esse. Senza antitesi, il momento dinamico del processo, non ci sarebbe sintesi. E’ questo il travaglio del negativo: come il travaglio del parto che a volte può essere molto doloroso, ma è comunque indispensabile perché nasca la vita. Solo attraverso l’autocoscienza si arriva alla ragione. E’ il confronto, non solo con se stessi, ma anche e soprattutto con gli altri, che genera il sapere, che arricchisce la vita. Così non può avere senso fossilizzarsi sulle proprie idee senza un confronto continuo con l’altro. Costruirsi, attorno ad un proprio sapere autistico, una fortezza che lo protegga e che eviti la condivisione, escludendola a priori, non può avere un senso. Rimanere abbarbicati sulle proprie opinioni è evitare la dialettica. Guardare e percepire l’esterno è sì uno scontro tra sé e il mondo, ma è uno scontro costruttivo, indispensabile direi.
E l’ evitamento in questo campo, classico meccanismo di fuga nevrotico, non permette costruzioni intellettuali. Non permette la possibilità di “costruirsi” una ragione nel senso più vero del termine. La consapevolezza è nella lotta. Così si ha il rapporto coscienziale con il mondo. La scoperta è anche nello scontro.
Nel terzo momento per Hegel il viaggio è il trionfo della ragione. E la ragione non può esserci senza lo scontro con la realtà, con l’alterità.
La realtà è per Hegel un continuo divenire, coincide con la razionalità, è una manifestazione della razionalità. La ragione di cui parliamo è una ragione che Fichte ha già assolutizzato, una ragione infinita. Non è l’Io statico kantiano. La ragione è portatrice di una realtà processo-diveniente, perché è essa stessa dinamica. l’idea della realtà come processo è mutuata proprio da Fichte. Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale. La ragione si manifesta nella realtà, non rimane in sé. La razionalità è sempre realtà, non deve diventare realtà. Non c’è spazio per l’irrazionalità. Tutto è dentro la ragione. Tutto ciò che avviene nella realtà è una produzione della ragione. L’irrazionale, invece, è percepito dall’uomo in quanto il singolo avvenimento al singolo uomo viene visto come irrazionale, perché è solo una singola parte estrapolata dal tutto. Bisogna considerare l’insieme.
Hegel sacrifica la singola esistenza, le singole vite, in nome di una ragione assoluta. Schopenauer e Kierkegaard contrapporranno alla ragione assoluta il particolarismo. Il primo il dolore del singolo, il secondo la specificità della singola vita. L’hegelismo, invece, è la marcia trionfante della ragione nella realtà. La filosofia è la comprensione del tutto. In questo modo la filosofia giunge alla realtà, la verità. Per comprendere la realtà devo dominarla nel suo complesso e non solo nei suoi frammenti. Giudicare il tutto partendo da una parte singola è erroneo. l’astrazione è tipica dell’intelletto, che, quando procede in maniera analitica, separa e divide. La filosofia, invece, deve avere il quadro d’insieme, procedere in modo sintetico. La funzione della filosofia è comprendere la realtà come si dispiega, non interpretare, ossia trasformare, la realtà soggettivamente, ma comprenderla per quello che è.
La filosofia riesce a mettere ogni cosa al proprio posto. La realtà è un processo di tipo dialettico, procede in modo dialettico.
E la dialettica è la regola del divenire della realtà.