Queste mie sono delle riflessioni sul Webinar che si è tenuto con la Prof.ssa Arianna Fermani, docente di Filosofia Antica presso l’Università di studi di Macerata, il 19 Marzo scorso, organizzato dal Centro Disturbi del Comportamento alimentare, dall’ASL CN1 e grazie al contributo della Cassa di Risparmio di Cuneo.
Senza la pretesa di addentrarmi nelle maglie intricate del pensiero filosofico antico, cercherò di riassumere brevemente l’argomento trattato, che ha suscitato molti spunti di riflessione nel dibattito successivo. La considerazione che la figura della donna nell’età greca ed in genere nel mondo antico, rivestisse un ruolo subalterno rispetto a quella maschile è stata davvero superata? Sembrerebbe non in modo univoco e non ovunque: da una parte, ed in alcuni ambiti, il sesso maschile continua a prevalere su quello femminile e ad occupare un ruolo privilegiato all’interno della società.
E’ noto che nell’Antica Grecia la donna non godeva di diritti né politici né giuridici.
La “polis”era in mano agli uomini, che si occupavano della guerra e della politica.
La figura femminile, per sua stessa natura inferiore, era relegata nell’ambito delle pareti domestiche ed assicurava, generando la prole, la continuità della famiglia e della polis stessa. La donna, emotiva per eccellenza e quindi più incline all’errore, aveva il compito di essere una brava moglie ed una brava madre: spesso preda delle passioni, non sarebbe stata, secondo l’uomo, adatta a svolgere un ruolo pubblico che invece richiedeva freddezza e razionalità. Per svolgere il suo ruolo passava, giunta l’età per il matrimonio, come un oggetto, dalle mani del padre a quelle del marito che non solo non sceglieva, ma neppure conosceva.
Una donna “riservata” aveva il compito di tacere e di non indossare strumenti di seduzione, ma quelli adatti alla procreazione.
Con un volo pindarico nel tempo fino al Settecento, la Rivoluzione Francese segnò la nascita del movimento femminista, nell’ambito del quale le donne iniziarono a far sentire la loro voce,rimanendo comunque escluse dalla vita sociale.
La vita culturale del XVIII secolo fu dominata dal movimento intellettuale dell’ “Illuminismo”, in cui conversero posizioni e orientamenti molto diversi, ma tutti basati sullo strumento della ragione, che è posseduta da tutti gli uomini ed è il modo per vagliare criticamente la realtà.
Nel Settecento le donne acquisirono una libertà maggiore rispetto alle epoche precedenti: pur restando fortemente sottoposte alle leggi paterne, una volta sposate erano libere di esercitare una sorta di dominio in casa, ed anche le occasioni di uscita delle ragazze dalle mura domestiche divennero più frequenti.
Ancora più avanti nel tempo, nel XX secolo, le lotte femministe per la parità dei sessi si fecero sempre più accese, ma le donne continuarono ad essere sottovalutate.
I ruoli sociali più importanti continuarono ad essere comunque destinati all’uomo, perché considerato più intelligente e capace.
Se, da un certo punto di vista, in Occidente la donna è riuscita ad affermarsi in ambito sociale, conquistando ruoli e professioni un tempo non accessibili, pur senza raggiungere, per lo più, ruoli apicali anche se meritati, ancora oggi la sua immagine viene spesso sminuita in vari ambiti, tra cui quello giornalistico e televisivo.
Se pensiamo alla sua emancipazione sessuale che è innegabile, alla sua libertà di diniego nei confronti di un uomo che non gradisce o, al contrario, all’essere colei che per prima si propone ad un uomo che le piace, ciò non sempre è visto di buon occhio da certo giornalismo e dall’opinione pubblica.
Se pensiamo al grosso e doloroso capitolo del femminicidio, è innegabile la tendenza a cercare, da parte di alcuni, una sorta di giustificazione anche ai delitti più efferati compiuti dai compagni, che hanno ucciso donne che “osavano” chiedere la separazione da loro, come se l’indissolubilità del legame di coppia dovesse prescindere dai maltrattamenti che una donna spesso subisce dal suo uomo, dagli oltraggi fisici e/o psicologici, che, secondo alcuni, andrebbero comunque tollerati. Così come andrebbero tollerati rapporti sessuali non desiderati o addirittura violenti, perché alcuni modelli cinematografici o romanzati impongono il sesso estremo come modello di passionalità. Sia ben inteso: nel rapporto di coppia tutto può essere lecito, purchè voluto da entrambi e non vissuto in un clima di sudditanza.
Per qualcuno, invece, è ancora impensabile che l’amore possa finire e la donna possa decidere di percorrere la propria strada non più a fianco di quell’uomo. In tutto questo non c’è parità di genere, come non c’è nella declinazione al maschile singolare del linguaggio, che detta le coordinate di stare al mondo.
Questo discorso non vale al reciproco: se è un uomo che decide di andare via dalla sua donna, egli viene giustificato. Dov’è in questo la parità di genere?
Dov’ è la parità di genere per una donna che, se decide non solo di lavorare, ma anche di procreare, sa già che dopo la maternità raramente ritroverà lo stesso posto di lavoro o le stesse condizioni lavorative precedenti la maternità?
Dov’è, ancora oggi, la parità tra i sessi, se i vertici in molti ambiti lavorativi, a parte rare eccezioni, sono riservate al sesso maschile? Allora appare superfluo chiedersi come mai le donne siano, a tutt’oggi, insoddisfatte di se stesse e del mondo che le circonda. Una gran parte risulta essere inappagata dalla propria vita, non certo perché , come qualcuno ritiene, non si è più in grado di apprezzare le piccole cose, ma piuttosto perché la vita della donna è diventata una corsa continua, fuori e dentro casa, un affannoso barcamenarsi tra lavoro, marito e figli, laddove il ruolo domestico è per lo più non riconosciuto o sottostimato.
La figura femminile si è, dunque, evoluta nel corso degli anni soprattutto a partire dal femminismo. Grazie alle lotte femministe e all’approvazione di leggi che hanno contrastato le forme più eclatanti di discriminazione, le donne sono entrate a fare parte di ambiti tradizionalmente maschili, come quello dell’istruzione e della carriera in genere, seppur raramente, come già si accennava, raggiungendo i vertici che rimangono appannaggio degli uomini.
Simone de Beauvoir, scrittrice francese del 1900, nella sua opera “ Il secondo sesso” indica la strada per il superamento di una visione gerarchica che vede la donna come essere inferiore, in cui il maschile è la “norma” ed il femminile come “secondo sesso”.
La de Beauvoir sottolinea l’importanza dell’educazione nella formazione individuale delle donne del suo tempo, sia negando una supposta inferiorità biologica della donna, che è semplicemente “altro” dall’uomo, nella sua differenza identitaria, e non un uomo “castrato”.
“Donna non si nasce, lo si diventa”, ella afferma, anche se non azzarda pronostici su quello che sarà il destino del genere femminile.
In conclusione, è incontestabile che le donne abbiano superato alcune barriere imposte dagli uomini, cambiando la loro mentalità: la donna deve preoccuparsi del proprio futuro professionale, esattamente come lo fa un uomo; il matrimonio non è più l’unico scopo della vita, l’indipendenza economica e la possibilità di disporre liberamente del proprio corpo e della propria anima sono ormai idee insite nella personalità femminile. La procreazione non rappresenta più l’unica ragione della vita della donna, seppure rimanga importante la realizzazione della sua femminilità anche nella maternalità. Rinunciare alla procreazione rimane un diritto della donna, così come decidere di rinunciare al prodotto del concepimento, se non desiderato, per ragioni varie ed intime.
Tuttavia, la strada che la donna deve percorrere è ancora lunga, persistono discriminazioni nel mondo del lavoro, sia per le retribuzioni che per le assunzioni, e non sono scomparsi gli ostacoli che sbarrano l’accesso a certe professioni, anche se più superabili che in passato.
Tutto questo impone la necessità di porsi nuovi interrogativi nella relazione uomo/ donna, sulla opportunità di una sua rivisitazione e di un continuo reinventare il rapporto di coppia per non rischiare, permanendo arcaiche tradizioni nell’immaginario maschile, il suo fallimento. Non dimentichiamoci, nella grammatica greca, il tempo “duale”: il greco è l’unica lingua che lo possiede, ed in quel tempo del “noi due” risiede la più alta forma di Felicità e d’Amore.
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