Otto Dicembre

Ho amato molto questo giorno nella mia infanzia. Era, com’è costume al Sud, il giorno della preparazione dell’Albero ( che piaceva a papà, rigorosamente laico) e del Presepe ( che era amato da mamma e zia, ferventi cattoliche).
Ad ognuno il suo compito.
Papà si occupava dell’albero ( ed io lo aiutavo, combinando sempre qualche guaio), zia del presepe ( ed io la aiutavo, “scoprendo” sempre Gesù bambino prima del tempo debito, cioè il giorno della sua nascita). Mamma supervisionava da vicino. A casa nostra non c’erano le “riunioni di famiglia”. Siamo stati sempre pochi e sempre insieme, senza bisogno di riunirsi, ma questa era una occasione per fare qualcosa di più insieme. Oggi potevo permettermi di non studiare, potevo dedicarmi alle luci dell’albero che erano l’elemento che mi attraeva di più. E Graziella, la mia tata, oggi era in libera uscita dai suoi parenti. Poteva “permettersi” di tornare la sera, nei giorni di festa. Ma lei non era solo la mia tata, a lungo l’ho chiamata “mamma”. Stavo più con lei che con Celestina, o meglio Titina, mia madre, impegnata spesso a scuola.
Oggi era il giorno delle risate, del pranzo assieme, da nonna, che non usciva più di casa dopo un incidente e che, quindi, non aveva potuto partecipare agli addobbi ma era come li avesse supervisionati da lontano. Sono stata una bambina felice, coccolata, viziata anche. Spesso bastava aprissi bocca e ricevevo il regalo richiesto. I privilegi dei figli unici? Forse, ma anche la solitudine di non avere un fratello od una sorella con cui parlottare. Ma sono stata anche una bambina molto timida, soffocata a volte dall’amore materno iperprotettivo e da montagne di dolciumi, come se la dolcezza non fosse mai abbastanza.
E poi, non so se volentieri o meno, sono cresciuta. A fatica mi sono svincolata da tanto amore, convinta di dovermela cavare da sola ed in questo l’intelligenza di mia madre mi ha aiutato. I timori di mio padre che aveva tanta stima di me, mi osservavano vigili.
E poi le persone che più ho amato nella mia vita sono venute meno, una alla volta, come cadono i soldatini in guerra. Ed ogni volta una lacrima in più ed un addobbo in meno l’8 dicembre. Fino, gli ultimi anni in cui c’era mamma, solo un pupazzo di peluche che le avevo regalato. Si erano invertiti i ruoli: presepe e albero a casa di zia Giovanna, rimasta sempre un pò bambina e gli ultimi anni della sua vita, a causa della demenza, tornata ancora più bambina.
Ed ora quell’appartamento è sempre lì, in via Orazio Castelli, spoglio, freddo, vuoto, non ci torno da anni, da quando anche mamma è andata via ( Lei direbbe che è tornata alla casa del Padre). Ma l’amore della mia infanzia è rimasto tutto lì, tra quelle mura fredde, tra i libri di papà, che ancora sanno scaldarmi il cuore.

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